di Carlo Terzano
Ogni giorno i ranger del Parco nazionale della Repubblica democratica del Congo, lottano per salvare questi primati e il loro habitat. Nel mirino dei bracconieri e degli affaristi stranieri.
Il Wwf li ha definiti “eroi della natura”. Sono i cinque ranger del “Parco nazionale dei vulcani Virunga”, nella Repubblica Democratica del Congo, massacrati da bracconieri senza scrupoli. Un sesto versa tutt’ora in gravissime condizioni. Ragazzi sotto i 30 anni che hanno votato la loro vita alla conservazione di ciò che resta della foresta equatoriale africana, continuamente minacciata dagli interessi economici di grandi latifondisti, cacciatori di frodo e dei signori del petrolio.
Oggi quel polmone verde, tra le più antiche giungle del Pianeta, per molti rappresenta un vero tesoro, mentre le guardie forestali sono di fatto l’unico ostacolo che si frappone tra gli affaristi senza scrupoli e guadagni molto facili, in uno Stato in cui politica e pubblica amministrazione sono altamente corrotte. Negli ultimi 20 anni, sono stati 175 i ranger caduti nelle imboscate dei nemici del Virunga. Ma le guardie forestali non sono le sole vittime di questa mattanza silenziosa.
Già sterminato il 90% della popolazione
Proprio nelle foreste in cui, nel 1988, Michael Apted girò “Gorilla nella nebbia”, con Sigourney Weaver nei panni della dottoressa Dian Fossey, la naturalista uccisa mentre studiava il comportamento dei primati, queste grosse scimmie vengono quotidianamente cacciate, in una persecuzione senza tregua che sta mettendo a dura prova la sopravvivenza stessa delle specie rimaste.
Secondo il Wwf, ogni anno il 10% della popolazione di gorilla di pianura viene cancellato dal bracconaggio e, in alcune foreste dell’Africa centrale, è andato già perso il 90% di questi meravigliosi esemplari. “Un duro colpo”, commentano amaramente i responsabili del Wwf, “per una popolazione già ridotta al lumicino da deforestazione e malattie”.
Sono ormai solamente due le specie che ancora sopravvivono in Africa equatoriale: il gorilla occidentale e il gorilla orientale, separate da circa 900 chilometri di foresta vergine del Bacino del Congo, il secondo polmone verde del Pianeta, dopo la foresta Amazzonica. E, come la giungla del Sudamerica, anche questa selva immensa, grande come l’intera Europa (2 milioni di chilometri quadrati) oggi è fortemente minacciata dal fenomeno della deforestazione. Sempre secondo il Wwf, il taglio illegale delle piante per fare spazio a nuovi campi coltivati o legato allo sfruttamento delle risorse del sottosuolo (tra cui oro, diamanti, petrolio, terre rare e altri minerali richiesti in Occidente, soprattutto per la produzione di beni elettronici di largo consumo, tra cui smartphone, tablet e computer), erode annualmente porzioni importanti di giungla africana. Parliamo di circa 700 mila ettari disboscati ogni 12 mesi, corrispondenti a tre volte l’area del Belgio.
Un faro sui Virunga
La casa dei gorilla, un tempo foresta vergine e incontaminata, fa gola a un numero sempre maggiore di affaristi. Il governo locale, corrotto e indebolito da conflitti civili decennali, non ha la forza per fermare gli investitori stranieri senza scrupoli, che arrivano nel Paese con borse piene di denaro. La tutela del secondo polmone verde del mondo e delle sue biodiversità, è nelle mani dei ranger e delle associazioni ambientaliste che denunciano ciò che quotidianamente avviene in Congo.
Ai forestali congolesi che pattugliano da soli, a rischio della propria incolumità e a piedi un’area sterminata, il regista britannico Orlando von Einsiedel ha dedicato, nel 2014, un docufilm, “Virunga”, nella speranza di sensibilizzare sempre più persone su questo argomento.
La fame di combustibili
Nello stesso anno il Wwf, grazie a una potente campagna a tutela del parco, contro le estrazioni del petrolio, è riuscita ad ottenere un impegno pubblico da parte dell’esecutivo della Repubblica Democratica del Congo e delle compagnie petrolifere per il rispetto del santuario del gorilla. Vittoria? Solo temporanea, perché le trivellazioni potrebbero riprendere nel caso in cui i media smettessero di parlare di Virunga, spegnendo i riflettori sulla sorte di questi animali.
In più, recentemente si è affacciata un’altra minaccia per i gorilla, rappresentata dalla presenza di legna fossile: negli 800 chilometri quadrati del parco nazionale si trova un numero di vulcani tale da garantire importanti riserve di carbone, una miniera che attrae centinaia di nuovi affaristi senza scrupoli.
Secondo le ultime stime, a Virunga oggi restano appena 880 esemplari di gorilla. La soglia critica e psicologica di 1.000 unità è già alle nostre spalle da tempo. Negli ultimi anni la minaccia non solo non è stata arrestata, ma ha subito una potente accelerazione se si considera che ben il 75% dei gorilla di montagna è stato ucciso dal 2006 a oggi, anche per le sue carni.
Il Vaiolo delle scimmie
È il cosiddetto mercato nero del bushmeat (selvaggina) che, nella sua declinazione africana, ricomprende le carni di gorilla, di scimpanzé e anche di altri tipi di scimmia considerate una prelibatezza in diversi Paesi africani e dell’Asia. Si tratta di una pratica non solo illegale, ma anche severamente vietata per motivi sanitari.
Solo nel 2017, in Nigeria, si sono verificati 89 casi di Monkeypox, un virus imparentato con il vaiolo (noto infatti come “vaiolo delle scimmie”), che nell’arco degli ultimi 12 mesi ha determinato almeno sei decessi. Ma si tratta di stime potenzialmente in difetto, dato che non tutti i malati ricorrono alle cure degli ospedali e non sempre le strutture cliniche hanno in dotazione le apparecchiature utili a diagnosticare la malattia. Siccome il vaiolo non rappresenta più una minaccia, molti esperti tra la fine degli anni ’90 e il nuovo secolo hanno lasciato il Corno d’Africa, sguarnendo i presidi sanitari proprio all’alba di una nuova emergenza che sta allarmando anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Secondo le autorità sanitarie, il bracconaggio dei piccoli e grandi primati ha infatti impresso una accelerazione all’epidemia.
Articolo di Carlo Terzano