Vedere ciò che non si vede: l’enigma della visione cieca

di Marcello Ienca

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Nel 2003, un paziente di nome che chiameremo TM, viene trasportato all’ospedale di Tilburg, nei Paesi Bassi, a seguito di un malore. Non deve essere stata una gran giornata per lui: due ictus consecutivi gli hanno completamente devastato la corteccia visiva primaria (la cosidetta area V1, chiamata anche corteccia striata) in entrambi gli emisferi, ossia l’area cerebrale deputata all’elaborazione primaria dell’informazione visiva. Risultato: TM è corticalmente cieco, ossia cieco a causa di una lesione nella corteccia cerebrale, nonostante i suoi occhi possano ancora funzionare in modo ottimale. Il risultato però è apparentemente lo stesso della cecità oculare. TM non riesce a vedere nulla nel suo campo visivo. Anche quando i medici gli pongono davanti agli occhi oggetti luminosi di grosse dimensioni, lui non vede nulla. Solo buio. Buio completo.

Nei mesi successivi, però, qualcosa cambia. Sebbene TM continui a non vedere niente di niente, infatti, i medici cominciano a notare che è capace di reagire inconsciamente ad alcuni stimoli visivi. Cinque anni dopo, nel 2008, un team di ricercatori guidato dalla neuroscienziata Beatrice de Gelder decide allora di testare sperimentalmente questo strano fenomeno.

Il modello di esperimento è uno dei più semplici della storia delle neuroscienze: buttare un po’ di oggetti a caso (un secchio, un treppiedi, degli scatoloni, e delle pile di fogli) lungo il corridoio, e poi chiedere a TM di camminare lungo il corridoio senza usare il suo solito bastone. L’idea di fondo è altrettanto semplice: capire se TM è capace di evitare gli ostacoli pur senza poter contare sull’uso cosciente della vista. L’esito dell’esperimento è sorprendente: tra lo stupore dei ricercatori, infatti, TM riesce ad aggirare ogni ostacolo senza problemi, addirittura appiccicandosi al muro con lo scopo di dribblare il secchio.

Ma la parte più sconvolgente dell’esperimento deve ancora arrivare: una volta interrogato al termine della sua trionfale passeggiata lungo il corridoio, TM riferisce infatti ai ricercatori di aver camminato in modo del tutto naturale, senza essere cosciente della presenza di ostacoli lungo il tragitto: “Mi è venuto spontaneo camminare in quel modo, non mi ero accorto che ci fossero degli ostacoli”.

Quello di TM è l’esempio paradigmatico di uno dei fenomeni più enigmatici delle scienze della mente: la visione cieca (inglese “blindsight”). Con questo ossimoro da romanzo fantasy si definisce il raro fenomeno neurologico, in base al quale persone corticalmente cieche a causa di lesioni in V1 (o raramamente nelle aree contigue), riescono comunque a rispondere a stimoli visivi che non riescono a vedere in modo cosciente. Per farla breve, pazienti come TM vedono, ma non sono coscienti di farlo.

Questo vedere senza sapere di vedere, ha aperto un’enorme quantità di quesiti nella comunità scientifica. Il primo fra tutti, ovviamente, è cercare di capire che tipo di attività cerebrale sta alla base di questa abilità. Ma il quesito più importante riguarda il “problema dei problemi” delle neuroscienze, nonchè uno dei famosi 25 problemi ancora irrisolti della Scienza: la Coscienza.

Come ha spiegato il “guru” delle neuroscienze V.S. Ramachandran, infatti, la visione cieca, potrebbe rivelarsi nei prossimi anni una delle vie di ricerca privilegiate per individuare finalmente la base biologica della nostra capacità di essere coscienti e chiarire il suo ruolo all’interno del nostro comportamento.

Infatti, ci sono almeno tre importanti indizi che possiamo ricavare dalla vicenda di TM. Anzitutto che la visione non è solo visione cosciente. La nostra capacità di vedere, in altre parole, non dipende soltanto da processi cerebrali coscienti (realizzati, almeno in parte, dalla corteccia visiva primaria), bensì anche da meccanismi più rozzi ed elementari che coinvolgono aree cerebrali evolutivamente più antiche (come il tronco encefalico), legate alla sfera dei riflessi. Non è un caso che questi meccanismi siano altamente sfruttati da organismi cerebralmente più semplici ed evolutivamente più antichi di noi, come ad esempio rettili e roditori.

Per dirla in termini un po’ brutali: pazienti affetti dalla visione cieca regrediscono ad un tipo di esperienza visiva paragonabile a quella di un’iguana o di uno scoiattolo, dove la visione si riduce ad una sorta di riflesso inconscio. A questa capacità visiva rozza ed elementare, invece, specie cerebralmente più complesse come la nostra, hanno aggiunto una capacità visiva più raffinata, che passa attraverso l’esperienza cosciente.

Il secondo indizio è che la corteccia visiva primaria potrebbe essere, molto probabilmente, una componente necessaria della coscienza: essendo TM incapace di esperienza cosciente ed essendo la corteccia visiva primaria il pezzo mancante nel puzzle del suo cervello, è perlomeno lecito ipotizzare che tale area svolga un ruolo cruciale nel renderci coscienti delle nostre esperienze.

L’ultimo indizio (che poi è un’implicazione del primo) ci dice, infine, che una buona parte dei comportamenti che credevamo di eseguire coscientemente, come ad esempio, muoverci nello spazio evitando ostacoli, vengono invece realizzati al di sotto della soglia della coscienza.

Per farla breve: un bel po’ di cose che facciamo avvengono a nostra insaputa.

Fonte: http://www.scienzalive.it/neuroscienze-2/vedere-cio-che-non-si-vede-lenigma-della-visione-cieca/

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