di Damiano Rizzi
L’economia, il fare soldi ad ogni costo, sarà il solo valore degli uomini del presente e del futuro?
TTIP: la nostra salute vale meno di un trattato commerciale. Gli americani vogliono fare soldi a spese nostre, anche a costo della stessa vita umana. Senza più nessuna legge capace di contrastare il profitto ad ogni costo, una delle principali preoccupazioni sul trattato di libero scambio in corso di negoziazione tra Ue e Usa, è il rischio dell’indebolimento del “right to regulate” dello Stato, soprattutto con riferimento al campo alimentare, con possibili conseguenze per la salute derivanti da un eventuale abbassamento degli standard di tutela dei consumatori europei.
Questo a causa degli approcci diametralmente opposti presenti sulle due sponde dell’Atlantico: in Europa il “principio di precauzione”, in base al quale, in caso di rischio di danno grave, l’assenza di certezza scientifica non può essere addotta come pretesto per rinviare l’adozione di misure finalizzate a prevenire il danno; in Usa, al contrario, vige un approccio fondato sul laissez faire, in base al quale determinate sostanze possono essere messe al bando, soltanto quando vi sia certezza scientifica della loro dannosità.
Al riguardo, non è incoraggiante qualche esperienza già fatta nel corso degli ultimi vent’anni, sulla base, ad esempio, del Sps (Sanitary and Phitosanitory Agreement), un accordo rientrante nel sistema dei trattati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc), che regola i limiti al libero scambio per tutelare la salute umana, animale o vegetale.
In base a questo accordo, i membri dell’Omc possono adottare misure restrittive del libero commercio per evitare un rischio per la salute dei propri cittadini. Tuttavia, tali misure devono fondarsi su standard internazionali, oppure su evidenze scientifiche, dimostrando una connessione diretta tra le sostanze vietate ed i rischi per la salute. È in base a tale accordo che, nel 1998, l’Omc condanna l’Unione Europea a ritirare le direttive contenenti il bando alla carne agli ormoni emesse fino ad allora, poiché non suffragati da sufficienti evidenze scientifiche. L’Unione Europea non ha ritenuto di adeguarsi alla decisione dell’Omc (e questo le è costato l’imposizione, da parte degli Usa e del Canada, di tariffe su merci di provenienza europea pari ad oltre 120 milioni di dollari Usa l’anno).
La cosiddetta “guerra sulla carne agli ormoni” si conclude soltanto nel marzo del 2012, quando gli eurodeputati approvano un accordo che permette all’Unione Europea di mantenere il divieto di importare bovini trattati con ormoni, in cambio di un aumento di carne bovina di alta qualità che Usa e Canada possono esportare in Ue.
Un altro caso in cui il “principio di precauzione” è stato oggetto di attacchi in base al Sps è avvenuto nel 2003, quando Usa, Canada ed Argentina avviano, sempre in seno all’Omc, degli arbitrati nei confronti dell’Ue: sul banco degli imputati finiscono le restrizioni imposte da quest’ultima all’importazione di organismi geneticamente modificati e nel 2006 l’Omc sentenzia che le medesime violano il trattato. Nel 2009 la disputa con il Canada si conclude con l’autorizzazione, da parte dell’Ue, all’importazione dei semi di Canola (Canadian Oil Low Acid), una varietà mutante di colza, nonché con l’avvio di periodici incontri di discussione (ogni due anni) con le autorità canadesi riguardo agli organismi geneticamente modificati. L’avvio di un dialogo permanente su tale argomento, finalizzato ad un progressivo abbattimento delle barriere al commercio, conduce nel 2010 anche alla conclusione della disputa con l’Argentina.
Prosegue invece la disputa con gli Usa. Il Dipartimento dell’Agricoltura statunitense punta il dito contro le barriere non tariffarie poste dall’Unione Europea, all’importazione di prodotti agricoli provenienti dagli Usa, in particolare con riferimento ai tempi lunghi richiesti per l’autorizzazione dei prodotti realizzati attraverso le biotecnologie, ed in una nota pubblicata nel 2014 afferma che il Ttip consentirà di rimuovere tali ostacoli.
Dai leak recentemente pubblicati da parte di Greenpeace, relativi ad alcuni capitoli del Ttip in corso di negoziazione, emerge come le posizioni di Ue e Usa sull’argomento siano ancora piuttosto lontane: da una parte si rilevano gli sforzi dell’Unione Europea nell’affermare il principio che nulla potrà impedire alle parti sottoscrittrici di adottare le misure necessarie a promuovere e tutelare la salute pubblica e l’ambiente, dall’altra gli USA spingono per minori restrizioni al commercio in questo settore, ponendo l’accento sulla necessità che ogni regolamento che ponga restrizioni al commercio di prodotti agricoli, sia sottoposto ad un’analisi approfondita fondata su evidenze scientifiche dell’effettiva pericolosità dei singoli prodotti. Il testo finale dell’accordo avrà ripercussioni importanti su ciò che finirà nei nostri piatti: una ragione in più per chiedere con forza che le trattative siano condotte nella massima trasparenza e che la società civile abbia voce in capitolo.
Articolo di Damiano Rizzi
Fonte: Il Fatto Quotidiano