Mohammad bin Salman getta la maschera
di Andrea Muratore
La morte brutale di Jamal Kashoggi, il giornalista dissidente saudita ucciso nel consolato di Riad a Istanbul, il 2 ottobre scorso, ha svelato al mondo il reale volto della presunta “rivoluzione” politica della monarchia wahabbita, incarnata dal giovane erede al trono, Mohammad bin Salman.
Osannato a lungo da media e politici occidentali per riforme “cosmetiche”, come l’apertura dei cinema e il permesso di guidare accordato alle cittadine donne, MBS è stato più volte corteggiato, coccolato e osannato da numerosi leader occidentali (da Donald Trump a Emmanuel Macron, passando per Theresa May) interessati a rafforzare la partnership con Riad, nel momento in cui l’Arabia Saudita, varando il piano di riforme economiche Vision 2030, appariva una risorsa fondamentale per futuri investimenti e accordi commerciali.
Protetto dalla doppia morale del “patto col diavolo”, per usare l’espressione resa celebre da Fulvio Scaglione, il regno wahabbita ha potuto continuare, nel frattempo, le sue linee politiche più detestabili: dalla repressione del dissenso (certificato da un aumento drastico delle condanne a morte) al perpetramento del violento conflitto yemenita, causa di una catastrofe umanitaria senza precedenti…