“Aborto post-natale”: bioetica laicista sempre più omicida
di Flavia Corso
E’ tornata recentemente alla ribalta la discussione sull'”aborto post-natale”, l’ipotesi che non vi sia nulla di immorale nel praticare l’eutanasia su neonati disabili, e non solo.
Si potrebbe pensare ad uno scherzo di pessimo gusto, se non fosse che questa proposta non è affatto una novità nel panorama bioetico laicista. Uno dei primi sostenitori della moralità di questa pratica, è niente meno che Peter Singer, filosofo australiano tra i più influenti nell’ambito dell’etica contemporanea, nonché padre dell’antispecismo e, pertanto, sostenitore della liberazione animale.
Vero e proprio guru degli animalisti, comincia a trattare l’argomento negli anni ’70-’80. Oltre ad equiparare lo stato embrionale a quello fetale, prendendo in considerazione criteri come la razionalità, la consapevolezza e la capacità di provare dolore, si spinge oltre, affermando che non vi sarebbe alcuna differenza ontologica tra il feto e il neonato alle prime settimane di vita: in entrambi i casi, infatti, non si potrebbe parlare di “persona” nel vero senso del termine e, per questa ragione, il neonato – proprio come il feto – non avrebbe lo stesso diritto alla vita di un adulto…