Ogni anno, oltre 115 milioni di animali vengono sottoposti a procedure sperimentali, quindi ‘sacrificati’, nei vari laboratori di ricerca biomedica e tossicologica di tutto il mondo.
Animali come topi, ratti, ma anche cani, gatti, primati non umani, ed altri ancora, vengono regolarmente utilizzati nella ricerca biomedica e tossicologica come surrogati umani di malattie, pertanto, vengono appunto definiti “modelli animali”.
Diversi miliardi di euro/dollari vengono investiti ogni anno in tutto il mondo per questo genere di test: tale ingente entità di denaro è comprensiva anche della spesa relativa agli studi tossicologici. Il tempo medio per sviluppare e lanciare sul mercato un nuovo farmaco è di 10-15 anni e il costo medio per tale operazione è di circa 5 miliardi di dollari statunitensi. Eppure, nonostante questo considerevole investimento di risorse, economiche e non, il ritorno in termini di risultati utili non è soddisfacente come ci si dovrebbe augurare.
Basti pensare che oggi, nel processo di sviluppo farmacologico (drug development), su 100 nuovi farmaci ideati e testati con successo su animali, nelle fasi precliniche ben 95 non si traducono nelle successive fasi cliniche del trial sperimentale su esseri umani. Le ragioni alla base di questo elevatissimo tasso di logoramento farmacologico, sono riconducibili principalmente a tossicità od inefficacia, ovvero esiti del tutto divergenti tra animali ed esseri umani. Dei restanti 5 farmaci che raggiungono il mercato, il 51% manifesta gravi reazioni avverse, non rilevate prima dell’approvazione alla commercializzazione, in una popolazione umana eterogenea. Inoltre, si consideri anche che la stragrande maggioranza dei farmaci, più del 90%, funziona solo nel 30 o 50% dei casi rilevati a livello di popolazione generale.
In ultima analisi, quindi, su 100 nuove molecole efficaci e sicure su animali, risultano essere veramente poche, molto poche (meno di 5), quelle che si rivelano altrettanto terapeutiche e/o ben tollerate negli esseri umani.
Kenneth Kaitin, Direttore del ‘Center for the Study of Drug Development’ alla Tufts University (U.S.A.), ha così commentato riguardo all’attuale conclamata fase di stallo vissuta dall’industria farmacologica per quanto concerne il processo di sviluppo: “questo è un momento di panico, è veramente un periodo di panico per l’industria”.
Matthew Herper, ha riferito sulle pagine di FORBES: “una company che possa sperare di immettere un unico farmaco sul mercato può preventivare una spesa di 350 milioni dollari, prima che il farmaco sia disponibile per la vendita. In parte perché così tanti farmaci falliscono, le grandi aziende farmaceutiche che stanno lavorando su decine di progetti farmacologici spendono in una volta 5 miliardi di dollari per ogni nuovo farmaco”.
Vi è oggi un generale consenso tra gli addetti ai lavori della comunità scientifica biomedica, nonché tra le stesse grandi aziende farmacologiche e le istituzioni (come ad esempio quelle competenti in materia di farmacovigilanza), che un problema fondamentale inerente a questa critica situazione è riconducibile all’inadeguatezza dei “modelli animali” utilizzati come sistemi di modalità predittiva dell’esperienza umana di riferimento.
Questo non deve sorprendere, dal momento che animali ed esseri umani sono esempi di sistemi viventi adattativi complessi ed evoluti e, come tali, possono reagire in maniera differente a perturbazioni come farmaci e malattie. I risultati di esperimenti condotti in tutto il mondo su milioni di animali falliscono, infatti, nel prevedere accuratamente la risposta umana oggetto di studio.
Quanto utili possono essere considerati questi test su animali, eseguiti anche nel tentativo di prevedere le risposte umane di riferimento, quando un farmaco relativamente sicuro e di largo consumo come l’aspirina (uno dei farmaci blockbuster più utilizzati e venduti di sempre), si dimostra tossico nella quasi totalità delle specie usate nei test di laboratorio, causando effetti teratogeni (malformazioni congenite nella prole di cavie gravide) che non vengono per contro rilevati negli esseri umani?
Quanto attendibili possono essere considerati i dati registrati su “modelli animali”, quando 21 componenti chimici su 30 del comune caffè (bevanda largamente consumata dagli esseri umani), sono stati dimostrati essere cancerogeni nei ratti? Ad oggi non si hanno prove sostanziali alcune che il caffè causi cancro negli umani, anzi sono stati dimostrati effetti epatici protettivi.
Quanto credibile può risultare l’estrapolazione di risultati riferibili all’uomo, se perfino i più comuni e salutari alimenti di consumo umano come avocado, cavoletti di bruxelles, succo di pomodoro, cioccolato, cipolla, aglio, si sono rivelati tossici per i ”modelli animali” di ricerca? Quanto sicuri possono essere considerati gli studi preclinici animali, quando non riescono a predire con sufficiente accuratezza eventuali gravi effetti collaterali causati dai farmaci negli esseri umani?
Come possono risultare affidabili gli studi animali, quando anche all’interno della stessa specie, si rilevano significative differenze nelle risposte tra individui davanti alla medesima sollecitazione farmacologica? E’ noto infatti che queste differenze intra-specifiche occorrono anche tra gruppi etnici differenti, così come tra sessi diversi o, addirittura, perfino tra gemelli monozigoti.
Pertanto, se un essere umano non può essere un modello di riferimento di sperimentazione farmacologica adeguatamente attendibile per un altro essere umano, come può esserlo un ratto, un cane, un criceto, etc.? La risposta razionale e fondata, alla luce delle inequivocabili evidenze emerse fino ad oggi, non può che essere una sola: nessun animale non-umano può fungere da valido modello per un essere umano.
Considerando quindi il discutibile potere predittivo offerto dai ‘’modelli animali’’, sembra sorprendente che il settore della ricerca biomedica e tossicologica sia ancora impostato su dati di sicurezza non-umani.
Articolo di: Dr. Oriano Perata (M.D.) (Dirigente Medico di S.C. Chirurgia Generale, Specialista in Chirurgia Generale, Chirurgia della Mano e Microchirurgia), Dr.ssa Rossana Mianulli (M.D.) (Medico Chirurgo, Psichiatra, Psicoterapeuta, Dirigente Medico ASL di Bari).
Fonte e bibliografia: http://realscience.altervista.org/sperimentazione-animale-sostenere-linsostenibile-2/