di Daniel Oberhaus
“Abbiamo portato gli eventi assurdamente sofisticati che chiamiamo vita nel regno delle scale atomiche e microscopiche… e ha funzionato.”
Per la prima volta, un team internazionale di ricercatori ha utilizzato dei computer quantici per creare vita artificiale – una simulazione di organismi viventi che gli scienziati possono utilizzare per comprendere la vita dal livello delle popolazioni complessive fino, direttamente, alle interazioni cellulari.
Con i computer quantistici, i singoli organismi viventi rappresentati a livello microscopico attraverso dei qubit superconduttivi sono stati fatti “accoppiare”, interagire con il loro ambiente e “morire”, per creare un modello dei principali fattori che influenzano l’evoluzione.
La nuova ricerca pubblicata su Scientific Reports l’ottobre scorso, è un traguardo che potrebbe aiutare a comprendere se l’origine della vita possa essere spiegata attraverso delle meccaniche quantiche, una teoria della fisica che descrive l’universo in termini di interazioni tra particelle subatomiche.
Modellare la vita artificiale quantica, è un nuovo approccio ad una delle più vessanti domande della scienza: come fa la vita ad emergere dalla materia inerte, come nel caso del “brodo primordiale” di molecole organiche che una volta esisteva sulla Terra?
Erwin Schrödinger, per primo, propose nel 1944 che la risposta si potrebbe trovare nel regno quantistico, nel suo libro seminale sul tema,”Cos’è la vita?”. Ma i progressi sul campo sono stati ritardati dalle difficoltà nel creare dei computer quantistici abbastanza potenti da generare questo tipo di simulazioni.
A differenza dei normali computer “tradizionali” che state utilizzando per leggere questo articolo, e che processano le informazioni soltanto in unità binarie – unità di informazioni i cui valori possono essere sempre soltanto o ‘0’ o ‘1’ – i computer quantistici usano i qubit, le cui informazioni possono essere una combinazione sia di zero che di uno. Questa proprietà, conosciuta come “superposizione”, significa che i computer quantistici su larga scala hanno una enorme potenza di calcolo in più rispetto ai computer tradizionali.
L’obiettivo del gruppo di ricerca, diretto dal fisico Enrique Solano e dalla Basque Foundation for Science, era creare un modello computerizzato che replicasse il processo dell’evoluzione darwiniana su un computer quantico. Per farlo, i ricercatori hanno usato un processore quantistico da cinque qubit, sviluppato da IBM e accessibile via cloud.
Questo algoritmo quantistico ha simulato i principali processi biologici come l’auto-replicazione, la mutazione, l’interazione tra individui e la morte a livello di qubit. Il risultato finale è una simulazione del processo evolutivo che si è sviluppata a livello microscopico.
“La vita è una manifestazione complessa e macroscopica che emerge dalla materia inanimata, mentre le informazioni quantistiche sono manifestazioni dei qubit – oggetti microscopici e isolati che accadono nell’universo del molto piccolo” ha spiegato Solano. “La nostra ricerca ha portato gli eventi assurdamente sofisticati che chiamiamo vita, nel regno delle scale atomiche e microscopiche… e ha funzionato.”
Gli individui erano rappresentati nel modello utilizzando due qubit. Un qubit rappresentava il genotipo dell’individuo – ovvero il codice genetico di un certo tratto – l’altro il fenotipo, ovvero l’espressione fisica di quel tratto. “I nostri ‘individui quantici’ sono guidati da uno sforzo adattivo che assomiglia ad una sorta di evoluzione darwiniana quantistica”.
Per modellare l’auto-replicazione, l’algoritmo ha copiato i valori di aspettativa (la media della probabilità di tutte le possibili misurazioni) del genotipo in un nuovo qubit sfruttando l’entanglement, un processo che collega i qubit così che l’informazione viene scambiata istantaneamente. Per tenere conto delle mutazioni, i ricercatori hanno codificato delle rotazioni di qubit casuali nell’algoritmo che veniva applicato ai qubit del genotipo.
L’algoritmo, dopodiché, ha modellato l’interazione tra l’individuo e il suo ambiente, che rappresentava l’invecchiamento e, a un certo punto, anche la morte. Questo risultato è stato ottenuto prendendo il nuovo genotipo dal processo di auto-replicazione spiegato nello step precedente, e trasferendolo in un altro qubit attraverso l’entanglement. Il nuovo qubit rappresentava il fenotipo dell’individuo. La vita dell’individuo – ovvero, quanto tempo ci mette l’informazione a degradarsi o a dissiparsi attraverso l’interazione con l’ambiente – dipende dall’informazione codificata in questo fenotipo.
Infine, questi individui hanno interagito l’uno con l’altro. Per fare sì che ciò succedesse c’era bisogno di 4 qubit (2 genotipi e 2 fenotipi), ma i fenotipi hanno interagito e hanno scambiato informazioni soltanto se soddisfavano alcuni criteri codificati nei loro qubit di genotipo. L’interazione produce un nuovo individuo e il processo comincia di nuovo. In totale, i ricercatori hanno ripetuto questo processo più di 24.000 volte.
“I nostri ‘individui quantici’ sono guidati da uno sforzo adattivo che assomiglia ad una sorta di evoluzione darwiniana quantistica, che riesce a trasferire efficacemente le informazioni quantistiche di stati in entaglement per più qubi”, hanno scritto i ricercatori.
Ora che un algoritmo per la vita quantistica artificiale è stato dimostrato, il prossimo passo è scalare l’algoritmo per permettere a più individui di espandere le caratteristiche attribuite a essi. Per esempio, Solano ha detto che lui e i suoi colleghi stanno lavorando alla possibilità di aggiungere delle “feature di genere” ai qubit per esplorare ulteriormente le interazioni sociali e sessuali a livello quantistico.
“Potremmo scoprire che avere più di due generi è meglio, o forse è meglio non averne nessuno, per il bene della specie, della sopravvivenza e della propagazione,” ha detto Solano. Oltre ciò, Solano ha detto che lui e i suoi colleghi vogliono scalare il numero di interazioni che si consumano tra gli individui nelle loro simulazioni di vita quantistica artificiale. Ciò, però, dipende in ultima istanza dalla loro abilità di scalare l’hardware quantistico stesso.
Anche se l’hardware quantistico ha fatto dei passi avanti cruciali negli ultimi anni, deve fare ancora dei bei passi avanti, sopratutto per la bizzarra natura dei qubit. I qubit sono incredibilmente sensibili al rumore; possono essere implementati soltanto in sistemi complessi ed espansivi che possono proteggerli dalle interferenze esterne, e ciò prevede tipicamente un sacco di laser, dei materiali rari e/o delle temperature estremamente basse.
Anche allora, riuscire ad avere più di qualche dozzina di qubit che collabora l’uno con l’altro potrebbe essere molto difficile. All’inizio di quest’anno, Google ha raggiunto un record con un processore da 72 qubit, ma si tratta di un traguardo ancora lontano per la “supremazia quantistica”, quando i computer quantistici saranno, cioè, in grado di superare in prestazioni il computer tradizionale più potente sulla Terra.
Anche se la tecnologia informatica necessaria per ottenere la cosiddetta “supremazia quantistica” non è ancora qui con noi, il lavoro di Solano e dei suoi colleghi potrebbe eventualmente portare ad avere dei computer quantistici che possono modellare autonomamente la loro evoluzione senza dover partire da un algoritmo progettato da un essere umano.
Articolo di Daniel Oberhaus
Questo articolo è apparso originariamente su Motherboard US.
Non è quella la via per scoprire la vera natura della vita, bisogna, invece di creare mostruose macchine, algoritmi e intelligenza artificiale, rivolgere l’attenzione al sé profondo, al cuore di ogni individuo, mi fanno sorridere questi geni che costruiscono macchine fantastiche per riprodurre la meccanica quantistica, essa è un illusione, esiste nella mente ma è illusione.