di Mirco Mariucci
Il filosofo norvegese Peter Wessel Zapffe osserva che «ogni nuova generazione chiede: qual è il senso della vita?» ma «una via più efficace di porre la questione potrebbe essere: perché l’uomo abbisogna di un senso della vita?»
Si potrebbe rispondere con le parole di Seneca, perché «la vita, senza una meta, è vagabondaggio», trovandosi in accordo sia con il pensiero del mistico indiano Inayat Khan, che proclama «beato colui che ha trovato nella vita lo scopo della propria esistenza», che con quello dello scrittore brasiliano Paulo Coelho, quando afferma che «è proprio la possibilità di realizzare un sogno che rende la vita interessante».
Eppure, così facendo avremmo soltanto trovato un modo astuto per fuggire dall’interrogativo iniziale, ovvero: qual è il senso della vita? La prima cosa da fare quando ci si trova innanzi ad un interrogativo è chiedersi: la domanda che ci stiamo ponendo è ben posta? Ovvero, è ragionevole cercare di rispondere?
Se ci stessimo interrogando su quale sia il colore del vento, la lunghezza del profumo o la durata del mare, a ragione, non dovremmo perdere nemmeno un istante del nostro prezioso tempo per tentare di formulare una risposta. Ma allora, chi ci assicura che non possa essere la stessa cosa con il senso della vita? E se l’avere un senso non fosse un attributo della vita, così come il colore non lo è per il vento? Perché la vita dovrebbe necessariamente avere un senso? Proviamo quindi ad analizzare l’esistenza di un animale, quella di un topolino ad esempio, chiedendoci: che senso ha la sua vita? Generalmente un topo nasce, si nutre, cresce, si riproduce e muore, magari diventando del buon cibo per un gatto! Tutto ciò ha un senso?
Certo, sono tutte azioni finalizzate al mantenimento della specie, direte, chi sopravvive possiede i caratteri ed adotta i comportamenti necessari per vincere la lotta alla vita, altrimenti le possibilità di sopravvivenza sarebbero inferiori e condurrebbero all’estinzione con una maggiore probabilità.
In effetti quel topolino sta facendo di tutto per mantenersi in vita e assicurare la continuità alla sua specie, ecco perché scappa quando si sente in pericolo, mangia quando ha fame e si riproduce… ma è forse questo il senso della sua vita?
Secondo la scrittrice Muriel Barbery «vivere, nutrirsi, riprodursi, portare a termine il compito per il quale siamo nati e morire: non ha alcun senso, è vero, ma è così che stanno le cose». Quindi, i comportamenti legati al mantenersi in vita, o al dare continuità alla specie, sono attitudini dovute ai processi di selezione e adattamento tipici dell’evoluzione, non tanto il senso della vita in sé, quanto condotte del tutto normali, istintive o, meglio ancora, naturali.
Eppure Zenone di Cizio, il fondatore dello stoicismo (da non confondere con Zenone di Elea, noto per i suoi paradossi), potrebbe obiettare che «lo scopo della vita è di vivere in accordo con la natura». Ma è proprio così che stanno le cose?
Non tutti sanno che anche i topi, così come gli altri animali che non sono necessariamente umani, amano giocare. Il fine del gioco non è soltanto ludico, in quanto consente di ottenere dei vantaggi per la sopravvivenza: permette di fortificarsi, apprendere e sviluppare molteplici capacità. Quindi, anche questo aspetto della vita riveste un ruolo fondamentale nei processi di selezione naturale che conducono all’evoluzione d’una specie. Com’è noto però, il gioco è anche correlato alla felicità.
Si potrebbe quindi immaginare che quel topolino, giocando, stia cercando di raggiungere la felicità… forse allora il senso della vita è essere felici? Possiamo cercare una risposta nei diari di Anna Frank: «viviamo tutti, ma non sappiamo perché e a che scopo; viviamo tutti coll’intento di diventare felici, viviamo tutti in modo diverso eppure uguale». Quindi, in questo caso, l’essere felici, più che un senso vero e proprio, sembrerebbe una modalità, una meta ambita per cercare di vivere con pienezza la propria esistenza.
Immaginiamo ora, in un esperimento ideale, che alcuni scienziati riescano a sviluppare la prima forma di vita artificiale: una entità pensante ed auto-cosciente.
Quale sarebbe il senso della vita di quell’essere artificiale non biologico? E soprattutto, come potrebbe avere un senso quella vita?
Le argomentazioni sembrerebbero condurci all’inaspettata conclusione che non esista un senso oggettivo, assoluto e comune a tutti gli esseri viventi per quanto concerne l’ambito della vita.
Per lo scrittore Henry Miller «bisogna dare un senso alla vita, appunto perché evidentemente non ne ha nessuno». La motivazione potrebbe essere dovuta al fatto che «la vita è un fatto casuale» e quindi«non possiede né un senso né uno scopo», così come «la morte è la conseguenza necessaria di un fatto casuale e non possiede, a propria volta, né un senso né uno scopo», come ci ricorda lo scrittore ungherese Sándor Márai.
E anche se fosse, quale sarebbe il problema? C’è addirittura chi riesce a trovare nella potenziale inesistenza del senso della vita una ragione per vivere, come afferma il filosofo Emil Cioran: «il fatto che la vita non abbia alcun senso è una ragione di vivere, la sola, del resto».
Eppure noi siamo esseri pensanti e non c’è niente che c’impedisca d’ipotizzare che esistano una moltitudine di sensi della vita, che però non sono oggettivi, universali e comuni a tutti gli esseri viventi, ma che piuttosto risultano soggettivi e individuali, in particolare per quanto riguarda gli esseri umani.
Per una donna il senso della vita potrebbe essere quello di amare e veder crescere i propri figli; per uno scienziato appagare la sua sete di sapere, studiando ed indagando la natura, al fine di ampliare la conoscenza; per un appassionato di auto progettare delle vetture o guidarle ad alta velocità; per un libero pensatore dedicarsi alla scrittura, in modo da diffondere le sue idee per migliorare il mondo.
Siamo esseri che nutrono innumerevoli interessi e passioni, potremmo discutere quale di essi sia più nobilitante o appagante, se il sapere, l’istinto materno o altro, ma temo si tratti di una discussione sterile e inconcludente.
Di certo, ciascuno di noi può porsi degli obiettivi e trovare così il proprio senso della vita semplicemente seguendo le proprie passioni più autentiche, avendo l’accortezza che le sue azioni non diminuiscano il benessere degli altri esseri viventi.
Lev Tolstoj ammette di aver risolto la questione inerente il senso della vita dicendosi «che consiste nell’accrescere l’amore in se stessi e nel mondo»; per Socrate invece «una vita senza ricerche non è degna per l’uomo di essere vissuta»; mentre Sherlock Holmes, il noto personaggio letterario creato da Sir Arthur Conan Doyle, ammette candidamente: «non posso vivere se non faccio lavorare il cervello. Quale altro scopo c’è nella vita?»
L’evenienza che non esista un senso assoluto globale, non preclude la possibilità che esistano più sensi della vita locali, che non necessariamente devono essere comuni a tutti. A ben pensare, riusciamo facilmente a concordare sull’esistenza di tanti sensi soggettivi ed individuali, che potremmo comunque identificare come “sensi della vita”, nonostante non siano universali.
Siamo esseri mutevoli, non solo nell’aspetto ma anche nel pensiero, e quindi non è neanche detto che il senso della vita d’un individuo perduri per l’interezza della propria esistenza, in quanto potrebbe interessare periodi limitati o, nei casi più estremi, anche un singolo istante.
Il senso della vita, soggettivo ed individuale, può quindi trasformarsi nel corso del tempo, e non è detto che debba limitarsi ad un sol ambito; un individuo potrebbe inseguire simultaneamente sia la motivazione che scaturisce dalla ricerca della conoscenza, che quella che fiorisce grazie all’amore, o quant’altro sia in grado di realizzare la pienezza della propria esistenza, donandogli un incantevole orizzonte nella soggettività della sua realtà.
Non servono necessariamente gesta eclatanti, perché, secondo lo scrittore Romano Battaglia: «Anche se ciò che puoi fare è soltanto una piccola goccia nel mare, può darsi che sia proprio quella a dare significato alla tua esistenza».
In conclusione, non abbiamo una risposta certa e definitiva riguardante “il senso della vita” e non sappiamo neanche con certezza se la domanda sia ben posta, ma anche se un senso oggettivo ed universale non dovesse esistere, noi esseri pensati avremmo comunque un’alternativa: la possibilità di poter scegliere uno o più scopi, che potremmo identificare con il nostro senso della vita, riuscendo così a donare un significato intenso ed autentico ad ogni istante della nostra esistenza, poiché, come ci ricorda lo psicologo Martin Kohe: «il potere più grande che una persona possiede è la possibilità di scegliere», anche e soprattutto per quanto riguarda il senso della propria vita.
Articolo di Mirco Mariucci