L’assenza di una proteina chiamata “Sinapsina 3” impedisce l’accumulo dei frammenti proteici che uccidono i neuroni produttori di dopamina (dopaminergici), la cui morte determina le difficoltà motorie e gli spasmi caratteristici del morbo di Parkinson.
A scoprire il processo, un team di ricerca internazionale coordinato da studiosi italiani del Dipartimento di Medicina molecolare e traslazionale presso l’Università di Brescia, che ha collaborato a stretto contatto con colleghi del Centro per neuroscienze e tecnologie sinaptiche dell’Istituto Italiano di Tecnologia, dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, dell’Università di Padova e dell’Università di Lund (Svezia).
L’individuazione del meccanismo legato alla Sinapsina 3, una fosfoproteina sinaptica che regola il rilascio di dopamina cooperando con l’alfa-sinucleina, potrebbe aprire le porte a terapie rivoluzionarie, in grado di trattare le cause scatenanti della diffusa patologia neurodegenerativa.
Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Arianna Bellucci, docente presso il Dipartimento di Farmacologia dell’ateneo bresciano, hanno determinato il ruolo della Sinapsina 3 dopo averne evidenziato insoliti accumuli nei pazienti affetti dal Parkinson. Per vederci chiaro, Bellucci e colleghi hanno condotto esperimenti su topi geneticamente modificati ‘knock-out’ (ko), incapaci di esprimere la proteina incriminata, dopo un’apposita iniezione.
Dall’analisi dei risultati, è emerso che i modelli murini trattati non presentavano l’accumulo dei frammenti proteici – fibrille di alfa-sinucleina – responsabili della morte dei neuroni dopaminergici nel sistema nigrostriatale, un circuito cerebrale alla base del controllo dei movimenti volontari. La modulazione di questa proteina potrebbe dunque “veramente rappresentare una strategia terapeutica innovativa per la cura di questo disordine neurodegenerativo”, hanno sottolineato gli studiosi.
La promettente ricerca, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Acta Neuropathologica, è stata finanziata dalla “Fondazione Michael J.Fox” per la ricerca sul Morbo di Parkinson, nata nel 2000 dal desiderio dell’omonimo attore, il protagonista della celebre saga di “Ritorno al Futuro” colpito dalla debilitante patologia.
Ancora è troppo presto per parlare di sviluppi clinici, tuttavia, i ricercatori italiani sono ottimisti sui risultati raggiunti. Del resto, la lotta al Parkinson sta facendo passi da gigante negli ultimi anni. Grazie a macchinari come l’avveniristica MrgFUS – Magnetic Resonance guided Focused Ultrasound (Trattamento con Ultrasuoni Focalizzati guidati dalla Risonanza Magnetica), ad esempio, oggi è possibile eliminare i tremori in larga parte dei pazienti.
Recentemente un team di ricerca dell’Università dell’Alabama, ha invece scoperto un legame tra la flora batterica intestinale e il Parkinson; inoltre, studiosi della Keck School of Medicine dell’University of Southern California di Los Angeles, hanno presentato un test in grado di diagnosticare la malattia attraverso le lacrime dei pazienti.