Pakistan: per i giudici violentare le ragazze cristiane è ok

di Marta Petrosillo

Scandalosa sentenza dell’Alta Corte del Sindh contro la 14enne cattolica Huma Younus, rapita, violentata e costretta a sposare un uomo musulmano: il matrimonio è valido secondo la sharia perché Huma ha già avuto il ciclo mestruale.

È la dimostrazione che le leggi pakistane, che vietano il matrimonio con minorenni, sono solo una facciata per garantirsi gli aiuti economici occidentali, Unione Europea in testa. La sentenza suona come una condanna per le migliaia di ragazze cristiane che subiscono la stessa sorte, conversioni forzate perpetrate attraverso rapimenti e violenze sessuali.

Poteva rappresentare un importante precedente legale. Poteva essere un’occasione per fare finalmente giustizia. Ed invece è stata l’ennesima sconfitta. Il 3 febbraio, i due giudici dell’Alta Corte del Sindh, Muhammad Iqbal Kalhoro e Irshad Ali Shah, hanno stabilito che il matrimonio tra Huma Younus, quattordicenne cattolica, ed il suo rapitore, il musulmano Abdul Jabbar, è valido. E non lo hanno stabilito sulla base della presunta maggiore età della ragazza, come ha sostenuto sin dall’inizio di questa vicenda il sequestratore. Il matrimonio è valido perché per la legge islamica, la sharia, una ragazza o perfino una bambina che abbia già avuto il primo ciclo mestruale è “pronta” per contrarre matrimonio. Una regola aurea che trae ispirazione dalla vita del Profeta, il quale sposò una delle sue mogli, Aisha, all’età di soli sei anni, ma aspettò pazientemente che la consorte avesse le sue prime mestruazioni, cosa che avvenne quando lei aveva nove anni, per consumare il matrimonio.

Dunque prevale la sharia e poco importa se nel Sindh, la provincia di Karachi, dal 2014 vige una legge, il Child marriage restraint act, che proibisce il matrimonio dei minori, prevedendo anche una pena di reclusione per il coniuge maggiorenne. A cosa serve formulare leggi ed approvarle se poi si possono bellamente ignorare per tornare al VII secolo?

“Per accreditare il Pakistan agli occhi della comunità internazionale”, come ha spiegato l’avvocato dei genitori di Huma, Tabassum Yousaf, dopo la sentenza. Leggi cosmetiche che hanno il solo scopo di permettere al Paese asiatico di non perdere i fondi per lo sviluppo ricevuti dall’Occidente o benefici quali il Generalized System of Preferences (Sistema di preferenze generalizzate), o GSP, un sistema tariffario preferenziale per commerciare nell’Unione europea, concesso al Pakistan dall’Ue. Tali benefici hanno spesso clausole legate ai diritti umani e la formulazione di leggi atte a garantirli rappresenta un’ottima garanzia. Peccato che poi, come in questo caso, prevalga la sharia e che spesso le sentenze giudiziarie riportino versetti del Corano, anziché fare riferimento a delle norme statali.

Come spiegare ad una madre che sua figlia di 14 anni può essere legalmente violentata ogni giorno? La signora Nagheena Younus era in lacrime ieri di fronte all’Alta Corte a Karachi. Vi erano molte aspettative su questo caso, perché per la prima volta dei giudici di un tribunale di secondo grado erano chiamati ad esprimersi su una vicenda di conversione forzata. Un progresso mai raggiunto perché la quasi totalità dei genitori delle circa mille ragazze cristiane o indù che ogni anno in Pakistan vengono rapite, violentate, costrette a convertirsi all’islam e a sposare il loro aggressore, non hanno risorse per rivolgersi alla giustizia e fronteggiare le forti pressioni sociali, le minacce e perfino la complicità della polizia locale con i rapitori musulmani.

Ma stavolta era diverso: Younus e Nagheena, i genitori di Huma, possono contare sull’assistenza pro bono della loro legale, la cattolica Tabassum Yousaf, e sul sostegno della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, che si sta facendo carico di tutte le spese legali. Tuttavia, non è stato sufficiente in un Paese il cui sistema giudiziario discrimina fortemente i cristiani e le altre minoranze religiose.

La Yousaf ha chiesto comunque ai giudici di far effettuare una visita medica per attestare l’età della ragazza. Quando Huma è stata rapita, il 10 ottobre scorso, i genitori hanno subito fornito l’attestato di nascita e il certificato di battesimo rilasciato dalla parrocchia cattolica di St. James di Karachi, riportanti entrambi come data di nascita il 22 maggio 2005. Ma poiché il rapitore, Jabbar, sostiene che la “moglie” sia in realtà maggiorenne – è interessante notare come la parola di un musulmano valga quanto se non più di un documento emesso dallo stesso governo pachistano – sarà necessario un esame medico per verificarne l’età.

Purtroppo però ad essere incaricato di far condurre questo test è l‘investigation officer Akhtar Hussain, lo stesso agente incaricato delle indagini che avrebbe dovuto riportare la ragazza a Karachi dopo che Jabbar l’aveva condotta in Punjab a 600 chilometri da casa per sposarla, e lo stesso che ieri avrebbe dovuto accompagnare Huma in aula (ovviamente la ragazza non c’era). E se non bastassero i sospetti di complicità con il sequestratore, il “cinque” che si sono scambiati Hussain e l’avvocato di Jabbar dopo la precedente udienza del 16 gennaio, parla piuttosto chiaro.

“Hussain potrebbe facilmente contraffare il reperto medico”, afferma l’avvocatessa Yousaf, la quale spera almeno di poter riuscire a far trasferire Huma in un centro per donne, così da sottrarla a stupri quotidiani. Certo non sarà facile e in ogni caso, dal momento che il matrimonio è stato ritenuto valido dall’Alta Corte, sono poche le possibilità che Jabbar venga arrestato o punito. Ma la giovane avvocatessa e i genitori, assieme ad Aiuto alla Chiesa che Soffre, non si arrendono. Vediamo quali sorprese ci riserverà la prossima udienza fissata per il 4 marzo.

Articolo di Marta Petrosillo

Fonte: https://lanuovabq.it/it/pakistan-per-i-giudici-violentare-le-ragazze-cristiane-e-ok

IL COMBATTENTE
Storia dell'italiano che ha difeso Kobane dall'Isis
di Karim Franceschi

Il Combattente

Storia dell'italiano che ha difeso Kobane dall'Isis

di Karim Franceschi

Lasciare tutto – l'amore, gli amici, la propria vita in Italia – per andare a combattere l'Isis con il popolo curdo: questa è stata l'avventura di Karim Franceschi, figlio di un ex partigiano italiano e di sua moglie marocchina.

Dopo aver partecipato alla carovana umanitaria Rojava calling e aver visto con i propri occhi la sofferenza dei curdi, nel gennaio del 2015 ha deciso di raggiungere Kobane e unirsi alla milizia volontaria dell'Ypg (Unità di protezione del popolo) per combattere l'avanzata dell'Isis. È lui l'unico italiano che, nemmeno ventiseienne, abbia preso parte alla resistenza in Siria: con il nome di battaglia di Marcello e pochi giorni di addestramento alle spalle, Karim è passato da semplice combattente a membro di un commando, fino a far parte di una squadra di cecchini, diventando un punto di riferimento per i compagni e un pericoloso nemico per i miliziani dello Stato islamico.

In questo libro Karim ripercorre la sua storia: l'arrivo in una Kobane in ginocchio, il trauma delle prime battaglie, la resistenza disperata di fronte a un esercito, quello del Califfato, più forte e meglio armato, l'incredibile impresa della liberazione della città e la messa in fuga del nemico, ancora oggi una delle più cocenti sconfitte subite dall'Isis. Un racconto che per la prima volta mette il lettore di fronte a quei soldati islamisti che conosciamo solo attraverso i video della propaganda del Califfato, e che qui invece possiamo vedere in faccia nelle loro atrocità e anche nei loro punti deboli. E nello stesso tempo ci parla della popolazione curda e araba – che spesso identifichiamo soltanto nei profughi in arrivo nel nostro Paese – che con il suo esercito ad alta componente femminile sta resistendo all'avanzata dell'Isis con straordinario coraggio.

"Il combattente" racconta con la forza di un romanzo una storia trascinante e unica, portandoci al centro di una guerra ferocissima e reale che, ormai lo sappiamo, ci riguarda tutti.

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