Dalle recenti dichiarazioni dei rappresentanti dei principali istituti finanziario-monetari internazionali, si capisce che domina il panico.
La Banca mondiale ha effettuato una previsione dei ritmi di crescita del commercio a livello globale, secondo cui quest’anno si osserverebbe un calo dal 2,6% all’1,5%. La direttrice del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva, invece, ha previsto una crisi economica persino peggiore di quella del 2008.
700 miliardi in questione
“La crescita dell’economia mondiale di fatto si è interrotta”, ha dichiarato la direttrice del FMI, Kristalina Georgieva, in occasione della riunione annuale dei vertici della Banca mondiale e del FMI, che si è tenuta a inizio ottobre a New York. Stando alle stime del FMI, verso la fine dell’anno il PIL mondiale è in perdita dello 0,8%, ossia di 700 miliardi di dollari. Di conseguenza, per il 90% dei Paesi, i ritmi di crescita economica subiranno un rallentamento e saranno i peggiori degli ultimi 10 anni.
Gli esperti della Banca mondiale non hanno fatto altro che confermare le stime negative dei colleghi, effettuando la previsione di calo del PIL statunitense dal 2,5% al 2,3%. Nell’Eurozona si prevede che lo stesso valore scenda dall’1,2% all’1,1%, mentre in Cina dal 6,2% al 6,1% (il valore più basso dal 1990).
Georgieva è convinta del fatto che l’unico modo di risanare l’economia mondiale sia porre fine alla guerra commerciale e dare vita con sforzi congiunti a un nuovo sistema di scambio di merci e servizi, che sia moderno e sicuro grazie alle tecnologie informatiche più all’avanguardia.
Ovviamente, in primo luogo, tale invito è rivolto alle delegazioni americana e cinese che tra il 10 e l’11 ottobre hanno tenuto un nuovo ciclo di trattative commerciali a Washington. La maggior parte degli esperti è scettica a tal proposito perché i precedenti 12 incontri non hanno dato alcun frutto.
Negli ultimi giorni i rapporti tra Washington e Pechino non hanno fatto che peggiorare. Prima degli incontri, la Casa Bianca ha introdotto nuove sanzioni contro 28 organizzazioni cinesi accusate di essere coinvolte nella violazione dei diritti degli Uiguri e di altri membri delle minoranze musulmane in Cina.
In risposta, Pechino ha accusato Washington di ingerenza negli affari interni cinesi e ha vietato che venissero trasmesse le partite dell’NBA americana: infatti, alcuni rappresentanti dell’NBA avevano osato esprimere il loro supporto alle proteste a Hong Kong.
“Qualsiasi esternazione che sfidi la sovranità nazionale e la stabilità sociale del Paese non attiene alla libertà di espressione”, questa decisione è stata così commentata dall’agenzia mediatica statale cinese CCTV. Di conseguenza, l’NBA potrebbe perdere 1,5 miliardi di dollari, ossia la somma stabilita dal contratto con Pechino.
Inoltre, un paio di settimane fa gli americani hanno incluso nell’elenco delle sanzioni anche Cosco, la maggiore società di logistica cinese, per presunto acquisto e trasporto di greggio iraniano. Questa decisione, unitamente ai nuovi dazi del 15%, introdotti a inizio settembre sulla merce di esportazione cinese, per un totale di 300 miliardi di dollari, non infonde ottimismo circa la sottoscrizione di un nuovo accordo commerciale tra Washington e Pechino.
Ci perdono tutti…
Alcuni esperti invitano a non andare nel panico e ricordano il concetto di ciclicità dell’economia mondiale: dopo un crollo riprende la crescita. Altri, invece, precisano che vi sono due possibilità: un crollo lento al quale fa seguito una ripresa graduale, oppure un crollo improvviso seguito da una crisi sistematica prolungata.
Il FMI è convinto che al momento sia più probabile il secondo scenario, anche alla luce del debito pubblico mondiale che ha toccato cifre da record, quasi 250 trilioni di dollari, ovvero tre volte il PIL globale. Ad essere particolarmente pericolosi sono i debiti delle società. Stando a Kristalina Georgieva, in caso di un brusco crollo dell’economia i debiti societari, accompagnati da un rischio di default, raggiungerebbero quota 19 trilioni di dollari, ovvero quasi il 40% del debito complessivo, sopportato dalle 8 economie maggiori del pianeta. Ciò significa che senza programmi di sostegno statali su larga scala, fallirà circa la metà delle maggiori attività a livello globale.
Solo negli USA, stando al rapporto pubblicato quest’estate dalla Fed, nel 2018 l’indebitamento delle imprese più in difficoltà è aumentato del 20% fino a raggiungere 1,1 trilioni di dollari. Inoltre, considerata la massa creditizia societaria complessiva la quota dei loro prestiti ha superato persino i valori più elevati toccati prima della crisi del 2007.
“Grandi volumi di un debito potenzialmente cattivo potrebbero far peggiorare la situazione mano a mano che questa progredisce, provocando una crisi della fiducia e creando allo stesso tempo un circolo vizioso. Io sono molto preoccupato per il cosiddetto debito ‘gratuito’ a tasso negativo che continua ad essere richiesto”, ha spiegato a Sputnik, Timur Nigmatullin, direttore investimenti presso Otkrytie Broker.
Cosa ne sarà della Russia?
Anche la Russia sarà interessata dal rallentamento dell’economia mondiale. Stando alla previsione della Banca mondiale i ritmi di crescita del PIL russo quest’anno si attestano all’1% invece dell’1,2% previsto. L’anno prossimo, invece, sarà dell’1,7% invece dell’1,8%. Questo è dovuto al rallentamento dell’attività produttiva a sua volta legato all’adempimento degli obblighi di riduzione delle estrazioni imposti dall’OPEK.
Gli esperti sono convinti che negli anni della crisi i proventi russi derivati dall’industria del greggio subiranno un calo. Solitamente in situazioni analoghe le economie in via di sviluppo riducono le esportazioni di idrocarburi per via del calo della produzione. Il greggio non subirà però una diminuzione di prezzo importante: infatti, per evitare un’offerta eccessivamente elevata sul mercato mondiale dell’energia, i Paesi leader nel settore petrolifero troveranno un nuovo accordo per la riduzione delle estrazioni.
Ma anche in questo scenario la Russia non sarà interessata dal default. Già a inizio dell’estate il debito pubblico del Paese è andato in negativo: le eccedenze dei fondi pubblici nei conti della Banca centrale russa, delle banche commerciali e di vari fonti extra-bilancio hanno toccato gli 1,36 trilioni di rubli. Ciò significa che anche dopo l’estinzione simultanea di tutti i debiti, lo Stato disporrà di fondi a sufficienza per adempiere agli impegni presi di fronte alla popolazione.