di Giulia Belardelli
L’allerta riguarda soprattutto le prescrizioni per diagnosi di depressione e “Sindrome di Iperattività e Deficit di Attenzione”.
Attenzione alla somministrazione di psicofarmaci a bambini e adolescenti, una pratica molto diffusa in altri Paesi e che rischia di prendere piede anche in Italia. È l’allarme lanciato dalla Rete Sostenibilità e Salute, un network che riunisce le associazioni del terzo settore più attive sul tema della “salute sostenibile”.
Nel caso dei minori, l’allerta riguarda soprattutto le prescrizioni per diagnosi di depressione e Sindrome di Iperattività e Deficit di Attenzione. In un saggio dedicato a un tema che è sempre più attuale e delicato, la Rete lancia un appello al ministro della Salute, Roberto Speranza, per consolidare un modello di controllo nazionale che vigili sulla prescrizione di psicofarmaci ai minori.
“La somministrazione di molecole psicoattive a bambini e adolescenti presenta potenziali criticità – di carattere clinico ed etico – su cui concorda la letteratura internazionale”, spiegano i curatori della relazione, che richiamano con decisione l’attenzione degli operatori sia sulla valutazione dell’opportunità di prescrivere psicofarmaci ai bambini, sia sulle implicazioni etiche e giuridiche di tali prescrizioni.
“Per quanto la comunità scientifica non sia concorde sull’opportunità di usare prodotti psicoattivi su organismi con un sistema nervoso centrale ancora in via di sviluppo, sono oltre 15 milioni i minori in terapia psicofarmacologica, nel mondo, per le più diverse patologie, a fronte di una preoccupante carenza di risorse per terapie non farmacologiche scientificamente validate”, osservano gli autori.
Malgrado questi dubbi, il ricorso ai farmaci antidepressivi per trattare bambini e adolescenti è in crescita: in USA, Gran Bretagna, Germania, Danimarca e Olanda è aumentato complessivamente del 40% negli ultimi 7 anni. Si tratta di una tendenza mondiale, confermata da un recente studio pubblicato sullo European Journal of Neuropsychopharmacology, i cui dati dimostrano che in Gran Bretagna il numero di antidepressivi prescritti ai minori è cresciuto del 54%, del 60% in Danimarca, del 49% in Germania, del 26% negli Stati Uniti e del 17% in Olanda; maggiori incrementi si sono registrati nelle fasce d’età tra 10 e 19 anni, e i farmaci più utilizzati sono citalopram, fluoxetina e sertralina.
“L’uso di antidepressivi nei giovani è preoccupante – ha commentato il Dott. Shekhar Saxena, già Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze dell’OMS – una preoccupazione aggravata dal fatto che i farmaci prescritti ai giovani nella maggior parte dei casi non sono autorizzati per gli under 18“.
L’Italia – mette in guardia la Rete Sostenibilità e Salute – non è potenzialmente estranea a questi preoccupanti scenari, ancorché per fortuna lontana dagli scandali verificatisi negli USA, come quello dello psicofarmaco Paxil®, le cui prove di pericolosità per i minori sono state taciute dalla casa farmaceutica Glaxo.
Un esempio paradigmatico: il caso Paxil®
Le paroxetina è la molecola più prescritta – in modalità off-label – per la depressione in età adolescenziale: l’imponente revisione sistematica promossa dal British Medical Journal conferma che i dati che finora hanno giustificato la prescrizione a bambini e adolescenti di questo antidepressivo – prescritto massicciamente anche in Italia – erano stati falsati dal produttore, la multinazionale farmaceutica GSK – GlaxoSmithKline, e che questa molecola è “inefficace e pericolosa”.
Lo studio alla base delle richieste di AIC – Autorizzazione all’Immissione in Commercio di questo farmaco – era stato pubblicato nel lontano 2001, a firma di 22 ricercatori, e originariamente pareva confermare l’appropriatezza d’uso per questa molecola nei casi di depressione: in realtà, fu redatto da Sally K. Laden, una ghostwriter pagata dalla casa farmaceutica che aveva finanziato la ricerca allo scopo di dimostrare l’efficacia della molecola.
Ci sono voluti 14 anni, e la tenacia di validi ricercatori, per ribaltare i risultati dello studio, e dimostrare che la paroxetina aumenta il rischio di suicidio per i minori che la assumono. Il tutto, nell’indifferenza delle autorità di controllo sanitario: ad esempio, in Italia nessuna istituzione preposta ha assunto provvedimenti solleciti e incisivi a migliore tutela della salute dei minori, tanto che a oltre 2 anni dalla pubblicazione della revisione, nessun “warning” era stato pubblicato sui siti web delle autorità pubbliche come delle società scientifiche, né alcun comunicato era stato emesso ai mass-media, pregiudicando l’accesso all’informazione da parte della cittadinanza; l’Agenzia del Farmaco, nella fattispecie, prese posizione solo nel 2017.
Si consideri anche che secondo l’ultimo rapporto ESPAD, il 10% dei minori italiani utilizza psicofarmaci per le più svariate motivazioni, dal miglioramento delle performance scolastiche alla gestione di depressioni passeggere etc., senza alcuna ricetta medica, acquistandoli da amici compiacenti o direttamente sul web.
L’allerta su diagnosi e trattamento di iperattività infantile
Analoghe preoccupazioni riguardano l’impropria somministrazione di molecole psicoattive a bambini iperattivi. Tra i principali fattori di rischio per l’insorgere di comportamenti diagnosticati come Sindrome di Iperattività e Deficit di Attenzione (ADHD) si trovano anche i fattori socio-economici: la letteratura scientifica dimostra che bambini provenienti da famiglie con basso status socio-economico hanno probabilità molto superiori di ricevere diagnosi di ADHD, rispetto ai figli di genitori con status più elevati. È quindi quantomeno discutibile che il soggetto diagnosticato con ADHD sia il bambino, quando tale disattenzione potrebbe essere attribuita al contesto sociale e ambientale. “Trascurare questa prospettiva significa decidere, come società, che è troppo impegnativo e costoso agire sull’ambiente in cui crescono e si sviluppano i bambini, e preferire quindi adattare i bambini difficili al contesto”, afferma il documento della Rete.
Il fondatore dell’Institute for Scientific Freedom, Peter Gøtzsche, evidenzia ad esempio come in alcuni Paesi i tassi di diagnosi aumentino in corrispondenza della diminuzione dei finanziamenti scolastici: non si può infatti trascurare il ruolo della scuola e delle condizioni di lavoro degli insegnanti in questo processo.
Non è raro che questi, sovraccarichi di lavoro, sentano minacciata l’immagine di sé, la propria autostima e il proprio operato per via delle difficoltà incontrate nel contenere i comportamenti di alcuni alunni e ottenere i risultati attesi necessari per attenersi al programma didattico; come sottolinea Allen Frances, a capo della task force del DSM-IV, questo aumenterebbe il rischio di fenomeni di “inflazione diagnostica”.
Insieme alle incertezze diagnostiche, esiste inoltre il rischio dell’adozione di possibili strategie di “disease mongering”, ovvero di artificiosa modifica dei criteri di diagnosi per ampliare le opportunità di vendita per i farmaci psicoattivi, rispetto al quale una puntuale registrazione dei casi di minori trattati con farmaci per ADHD rappresenta un efficace correttivo.
In Italia è stato attivato a metà degli anni 2000 un Registro Nazionale per l’ADHD – coordinato da Istituto Superiore di Sanità e Ministero della Salute – al fine di garantire accuratezza diagnostica ed appropriatezza terapeutica. Un modello positivo rispetto ad altri Paesi ma che – secondo la Rete Sostenibilità e Salute – andrebbe consolidato per tutelare ancora di più i bambini e gli adolescenti dal rischio di diagnosi e trattamenti non appropriati.
Il Dott. Dainius Pūras, ha sottolineato, in un recente rapporto dell’ONU, come alcune condizioni strutturali (povertà, discriminazione, violenza) siano le cause più profonde alla radice del disagio mentale e della sofferenza, a cui “troppo spesso vengono fornite risposte individualizzate, immediate, influenzate da un paradigma esclusivamente biomedico che ignora i trattamenti alternativi, sottovaluta il ruolo della psicoterapia e di altri trattamenti psicosociali e, cosa più importante, non affronta i fattori determinanti che contribuiscono ad una cattiva salute mentale, con una sovramedicalizzazione particolarmente dannosa per i bambini”.
Articolo di Giulia Belardelli
Rivisto da Conoscenzealconfine.it