di Peter Russell
Comunemente si ritiene che le lingue moderne si siano evolute dai grugniti degli uomini primitivi nelle forme complesse diffuse al giorno d’oggi.
Nel corso degli eoni il vocabolario e le strutture grammaticali sarebbero diventati sempre più complessi. Eppure la documentazione storica sembra suggerire altro. È evidente infatti che la struttura grammaticale del linguaggio tenda a decadere nel tempo da forme complesse a forme sempre più esemplificate.
L’inglese è la più recente delle lingue moderne. Nacque circa 800 anni fa, dopo l’invasione normanna della Gran Bretagna, sotto forma di sintesi del francese e dell’anglosassone, le cui radici sono principalmente tedesche. Nel francese i nomi possiedono due generi: maschile e femminile. Nei sostantivi tedeschi i nomi hanno tre generi: maschile, femminile e neutro. Ma nei sostantivi inglesi il genere è assente (a parte un paio di eccezioni).
Stesso discorso concerne i casi grammaticali, che nella lingua inglese sono andati perduti. I sostantivi tedeschi hanno quattro casi: nominativo (soggetto), accusativo (oggetto), dativo (oggetto indiretto), e genitivo (possessivo). Al di là dell’uso di alcuni pronomi, nella lingua inglese i nomi non mutano la loro configurazione sulla scorta di differenti casi grammaticali.
Se risaliamo al greco antico troviamo cinque casi. Il latino annoverava sei casi. Risalendo ancora più indietro nel tempo registriamo che il sanscrito – considerata la madre di tutte le lingue Indo-europee – annoverava otto casi. Quindi a quanto pare più antica è la lingua, più casi contengono le sue regole grammaticali.
Una tendenza simile è riscontrabile nelle forme verbali. I verbi francesi e tedeschi cambiano le loro desinenze a seconda del genere della persona (prima, seconda o terza) e della quantità singolare o plurale. Lo stesso discorso vale per il tedesco, il greco antico, il latino ed il sanscrito. Nella lingua più giovane al mondo, cioè l’inglese, troviamo una ‘s’ da aggiungere ai verbi per indicare la terza persona singolare, ma per il resto le desinenze non mutano, al di là di poche forme ‘irregolari’ come il verbo ‘essere.’
In altre parole, la struttura linguistica sembra svilirsi con il passare del tempo, perdendo molte regole complesse e decadendo in forme sempre più spoglie. Più antico è il linguaggio, più complesse sono le sue regole grammaticali.
Ciò detto la domanda sorge spontanea: da dove sono spuntate queste antiche strutture grammaticali estremamente complesse? Da dove scaturirono gli otto casi del sanscrito e la grande varietà delle sue declinazioni verbali?
Ho posto questa domanda a moti linguisti, storiografi e intellettuali di diverse convinzioni, tuttavia nessuno è stato in grado di fornirmi una risposta soddisfacente.
Alcune scuole di filosofia indiana sostengono che il sanscrito sia stato divinamente ispirato. E in questa affermazione potrebbe esserci qualcosa di vero. Eric von Daeniken e altri ritengono che migliaia di anni fa l’umanità sia stata influenzata da visitatori extraterrestri che apparvero come divinità alle genti dell’epoca. Sostiene che tali visitatori incrociandosi con gli esseri umani diedero inizio alla civiltà. Tuttavia, le prime mappature del genoma umano e di specie affini non sembrano aver riscontrato alcuna prova di tale intervento genetico (ma qualche indizio sembra esserci – n.d.t.).
D’altro canto analizzando l’origine delle lingue moderne si riscontra una sorta di anello mancante, un gap. Potrebbe essere che tali ipotetici visitatori non terrestri, preso atto che gli umani stessero iniziando a usare il linguaggio, abbiano stabilito che fosse il momento giusto per introdurre nella nostra civiltà un linguaggio sofisticato, incentrato su una grammatica complessa? Se l’ipotesi fosse fondata, il giorno in cui dovessimo entrare in contatto con una civiltà extraterrestre, faremmo bene a cercare di comunicare con loro in sanscrito piuttosto che nell’inglese moderno in cui si è lentamente involuto.
Fonte: http://www.peterrussell.com/wordpress/index.php?p=137
Traduzione a cura di Anticorpi.info