La libertà di stampa nel mondo, nel 2015, è scesa al suo punto più basso degli ultimi 12 anni.
Le pressioni indebite del potere politico, del crimine organizzato e gli attacchi del terrorismo, hanno cercato di ridurre al silenzio e, quando non ci sono riusciti, di “cooptare” i media, impegnati nel loro ruolo di “wacht-dogging” nei confronti appunto del potere.
Il giudizio conclusivo contenuto nell’ultimo Report 2016, stilato dall’autorevole istituto di Washington, Freedom House sulla libertà dei media in tutto il mondo, è sconfortante: “Le forze contro la libertà di stampa sono stati più forti in Medio Oriente e in Turchia, dove i governi e i gruppi fondamentalisti hanno messo sotto pressione giornalisti e media, al fine di farli schierare, in una sorta di “o con noi, o contro di noi”, creando un clima illiberale e attaccando coloro che hanno rifiutato di farsi intimidire”, ha detto Jennifer Dunham, direttore della ricerca per la libertà di stampa.
“La libertà dei media non è diminuita solo in paesi tradizionalmente repressivi, ma anche in Europa”, ha aggiunto Dunham. “I giornalisti in gran parte d’Europa hanno dovuto lottare con le nuove minacce portate avanti dai terroristi, e l’incremento dei metodi di sorveglianza e l’introduzione di nuove leggi di sicurezza, che potrebbero ostacolare il loro lavoro. I leader politici in Polonia, Serbia e altri paesi hanno instaurato un maggiore controllo sui media nazionali. In Cina, la censura delle notizie e Internet sui contenuti relativi al sistema finanziario e l’inquinamento ambientale è aumentata. Giornalisti professionisti ad Hong Kong sono stati arrestati, imprigionati e costretti a fare confessioni televisive, il che rappresenta un nuovo modello inquietante di repressione”.
Nonostante le numerose minacce alla libertà di stampa, giornalisti e blogger di tutto il mondo hanno dimostrato molto coraggio e capacità di recupero, spesso con grande rischio per la loro vita, come i giornalisti del Collettivo Raqqa, scampati ai macellai dell’ISIS, che clandestinamente documentano le violazioni dei diritti da parte dei fondamentalisti islamici; o anche come alcuni giornalisti investigativi in Messico, Brasile e Colombia, che continuano ad indagare, nonostante le minacce della criminalità organizzata; e, infine, i giornalisti in Cina che ignorano le direttive del governo a pubblicare informazioni “politicamente sensibili”.
Un quadro desolante
Solo il 13% della popolazione mondiale gode di una libera stampa, dove la copertura delle notizie politiche è autorevole, la sicurezza dei giornalisti è garantita, l’intrusione dello Stato negli affari dei media è minima, e la stampa non è soggetta a pressioni giuridiche o economiche onerose. Il 41% del mondo ha una stampa parzialmente libera e il 46% vive in paesi senza media liberi.
Tra gli stati che hanno subito la maggiore contrazione di libertà: Bangladesh (-7 punti), Turchia (-6), Burundi (-6), Francia (-5), Serbia (-5), Yemen (-5), Egitto (-4), Macedonia (-4), e Zimbabwe (-4). I 10 paesi con il peggior rating del mondo sono stati: Bielorussia, Crimea, Cuba, Guinea equatoriale, Eritrea, Iran, Corea del Nord, Siria, Turkmenistan e Uzbekistan.
Oltre alla Libertà di Stampa, il Report di Freedom House analizza e classifica in una speciale “Classifica aggregata, anche il grado di tenuta e salvaguardia di altri due fattori: i Diritti Politici e le Libertà Civili, per definire su ciascun paese il livello dello Stato di Libertà”. Ebbene, nel 2015 si evidenzia che in 195 paesi, su 7 miliardi e 315 milioni di abitanti, 2 miliardi e 900 milioni vivono in stato di libertà (44%); 1 miliardo e 800 milioni (30%) sono parzialmente liberi; 2 miliardi e 600 milioni (26%) vivono in assenza di libertà. “Il mondo” è il laconico e sconsolato giudizio degli autori del Report, “nel 2015 è stato martoriato da una sovrapposizione delle crisi, che hanno contribuito ai 10 anni consecutivi di declino globale della libertà”.
Europa
L’unica eccezione di questo desolante quadro, pur con delle punte di criticità, è l’Europa, regione dove vivono quasi 620 milioni di abitanti, l’86% dei quali, gode di una situazione di libertà, mentre solo il 14% può definirsi parzialmente libero. Ma sul fronte della libertà di stampa non sono tutte rose e fiori. Una delle prime mosse del nuovo governo di destra in Polonia, ad esempio, è stata quella di modificare la legislazione, permettendo all’esecutivo di controllare direttamente e poi licenziare la gestione dei media di proprietà dello Stato, sulla falsariga di quanto in precedenza operato dal primo ministro ungherese Viktor Orbán, la cui consolidata influenza sui media statali è stata determinante, durante la copertura della crisi dei rifugiati.
In Francia, la strage nella redazione di Charlie Hebdo, ha di fatto modificato il “sentiment” dello stato di libertà e autonomia dei giornalisti. I governi di Francia, Spagna e Gran Bretagna hanno messo in cantiere leggi restrittive in nome della sicurezza pubblica. Leggi che in Francia e Spagna sono già state adottate; mentre quella britannica è in fase di revisione. Anche se non così drammatica come gli omicidi a Charlie Hebdo, gli attacchi contro i giornalisti nei Balcani occidentali hanno contribuito ad un calo generale nella libertà dei media. In Serbia, più giornalisti hanno subito aggressioni fisiche, rafforzando l’auto-censura in tutto il settore dei media. Gli attacchi e le minacce di morte in Macedonia e in Bosnia-Erzegovina, hanno sollevato preoccupazioni, specie per i giornalisti che indagavano la corruzione del governo.
L’anomalia Italia
Venendo al nostro paese, si scopre una situazione in chiaro-scuro: mentre per i Diritti politici e le Libertà civili il tasso di godimento è massimo e la Libertà su Internet si può definire “completa”, quella della stampa invece è catalogata solo “parzialmente libera”. Il che ci pone all’89° posto nella classifica aggregata, seppure con un punteggio medio-alto, 75 (il massimo è 100). Il nostro paese è sceso al 31° posto della speciale classifica, la prima europea con la dicitura di “libertà di stampa parzialmente libera” subito dopo la Spagna e prima della Romania. Nella classifica mondiale del settore siamo al 63° posto in coda all’Unione europea. Una conferma, se ce n’era ancora bisogno, della precarietà del sistema dei media in Italia e degli attacchi all’autonomia professionale dei giornalisti, aspetto tra l’altro già certificato con altra metodologia, da Reporters sans Frontièrs, il 12 febbraio scorso, quando ci posizionò al 73° posto, tra la Moldavia e il Nicaragua, dopo una vertiginosa discesa di 24 posti rispetto all’anno precedente.
Le cause del declino mondiale
Il Report di Freedom House individua sei cause principali, che hanno determinato questo peggioramento delle libertà in fatto di stampa e diritti civili, negli ultimi dieci anni.
Crimine organizzato: dal Centro America passando per l’Asia meridionale, i giornalisti rischiano la loro vita quando indagano sui crimini della malavita organizzata, in particolare laddove lo Stato di diritto è debole e/o colluso, come in Messico per il “Cartello della droga” o anche in Italia nelle inchieste sulle varie mafie.
Corruzione: la segnalazione degli scandali dovuti alla corruzione nel mondo degli affari o di governo, pone giornalisti a rischio di molestie e violenza, praticamente in ogni regione del mondo, dal Brasile, all’Angola, all’Azerbaigian e oltre. Si arriva anche all’omicidio di reporter o più frequentemente a condanne legali, con detenzioni e richieste di rimborsi stratosferici.
Ambiente e sviluppo del territorio: raccontare storie legate all’ambiente, in particolare quando si tratta di acquisizioni di terreni o di industrie estrattive, pone in grande pericolo i giornalisti. Vengono tra l’altro citati casi di uccisioni e vessazioni in India, Cambogia e Filippine.
Religione: la copertura di argomenti religiosi “sensibili” può portare i giornalisti a subire ritorsioni, torture e perfino ad andare incontro alla morte. Ciò avviene per mano delle autorità o di gruppi fondamentalisti, in paesi come l’Arabia Saudita, nei territori occupati dall’ISIS o anche in Bangladesh.
Sovranità territoriali contese: Quando le domande di autonomia e l’autodeterminazione sono in gioco, intere parti del mondo possono diventare off-limits per il giornalismo. Tra i casi presi in esame, citiamo il Marocco e la zona del Sahara occidentale, la Crimea e il Tibet occupato dalla Cina.
Reati di lesa maestà e non solo: esistono leggi contro chi esprime “offese” verso lo stato o i governanti in diversi paesi, e alcuni leader non esitano a usarle contro le voci critiche. Tra questi, eccellono il Presidente turco Erdogan e il Presidente egiziano al-Sisi, che si sono resi colpevoli di persecuzioni di giornalisti, media, blogger e utenti dei social media. Nel 2015, le autorità turche hanno perseguito un medico che, in un’immagine condivisa on-line, ha paragonato il presidente al personaggio Gollum del film “Il Signore degli Anelli”. Un caso simile, assurdo in Thailandia: un uomo è stato arrestato con l’accusa di lesa maestà, per la pubblicazione di un commento umoristico on-line sul cane del re.
Fonte: Articolo21.org
In generale e’ abbastanza ridicolo e ipocrita parlare di liberta’ di stampa e di informazione libera quando i mass media sono manovrati dal potere politico e dal potere economico che poi sono le due facce della stessa medaglia e cio’ “incredibilmente” accade dappertutto e specie in quei paesi che hanno fatto della democrazia e dei diritti civili la loro bandiera. Facciamo funzionare il cervello e non facciamoci prendere in giro!