Lavorano gratis dieci ore al giorno per vedere Jovanotti: schiavi o semplicemente fessi?

di Matteo Fais

Non esiste peggior paraculismo di quello degli pseudo artisti e intellettuali di sinistra.

Perlomeno una certa destra non ha neppure mai fatto finta di essere dalla parte delle “classi subalterne” di gramsciana memoria – a volerla dire tutta, se ne sono proprio fottuti. Ma, come insegnano tutti i saggi dei peggiori bar di Caracas, è sempre meglio un figlio di puttana manifesto di un falso amico.

Schiavi o volontari?

L’ultimo a essersi distinto quanto a paraculismo è Lorenzo Cherubini, in arte – arte? – Jovanotti (quello che va al Bilderberg e fa propaganda ai vaccini), in occasione del suo seguitissimo tour, il Jova Beach Party. Per farla breve, secondo un complicatissimo sistema, alcuni aspetti della gestione degli eventi sono in mano a terzi, tra cui anche i Comuni coinvolti. Questi hanno ben pensato, invece che assumere dei lavoratori per quel che concerne, per esempio, il riciclaggio dei rifiuti, di chiamare a raccolta qualcuno disposto a farsi schiavizzare… Pardon, dei volontari che, in cambio dell’ingresso al concerto, due panini, due birre e una maglietta, saranno lieti di fare i servi della gleba… Volevo dire gli operatori ecologici. Scusate, la tastiera ha problemi con la neolingua… Sia ben chiaro: tutto ciò è legale. Ma, del resto, quando mai nella storia non è stato legale ciò che un governante aveva stabilito essere tale a mezzo di una legge? La morale non è quasi mai coincidente con ciò che sta scritto nei codici. Ciò non toglie che certe notizie facciano venire voglia di mettere mano, non al fucile, ma al napalm.

Fare cassa con il sudore altrui

Ci si potrebbe chiedere perché sia consentito a un cantante, nel pieno esercizio del suo mestiere – perché questi concerti non sono mica gratuiti, o volti a finanziare l’Opera Pia San Vincenzo – di fare cassa sul sudore altrui. Inoltre, ci si potrebbe domandare perché ci sia gente che ascolta un ex giovanotto il quale, già in precedenti occasioni, si era espresso a favore del lavoro volontario, con la scusa che è tutta esperienza – avete mai notato quanta gente ha a cuore l’esperienza dei giovani?

Schiavi col sorriso

Eppure, bisogna amaramente ribadirlo, l’autore di Penso positivo e altre boiate, non ha contravvenuto a nessun principio scritto. Il volontarismo di questo tipo è una piaga molto diffusa e non certo di sua invenzione, per quanto sia diverso fare da volontari a un festival di poesia organizzato da appassionati per altri cultori della materia, o durante un evento da cui qualcuno ricava di che campare… e certo si fa fatica a immaginare Jovanotti che si conta i chicchi di riso in preda all’inedia più terribile.

Ma dunque di chi è la colpa di tutto questo? Parafrasando uno dei più noti filosofi francesi, Jean Paul Sartre, e il suo “non esistono condizionamenti, solo persone che si fanno condizionare”, si potrebbe dire che non esistono schiavisti, solo persone disposte ad accettare la schiavitù. E, in effetti, semplificando, la colpa – per cui nessuno potrà mai assolverli – grava su tutti quei giovani.

La società siamo noi. Anche in catene lo schiavo è libero, direbbe sempre il filosofo, perché può comunque progettare la sua fuga e ripetersi che il padrone è un maledetto sfruttatore. Ma lo pensano i ragazzi che vanno a raccogliere la spazzatura altrui ai concerti di Jovanotti? No, anzi, scoppiano di entusiasmo: si consideri che, in tutta Italia le adesioni sono state più del previsto. Ma si può ancora chiamare “schiavo” chi, invece di vedersi mettere le catene ai polsi, va di sua spontanea volontà a farsi incatenare?

Naturalmente, Lorenzo Cherubini è ciò che è – meglio non dirlo! – ma certo i suoi fans sono suoi degni seguaci. Insomma, i furbi esistono perché ci sono i fessi – ciò è vero, anche senza fare riferimento a Sartre. Come possa, poi, il cantante in questione compiere certi abomini morali ed esaltare Santa Carola e la minchiata del #restiamoumani resta un mistero, un mistero di chi condivide la sua sinistra fede.

Articolo di Matteo Fais

Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/lavorano-gratis-dieci-ore-giorno-jovanotti-schiavi-fessi-124573/

SCHIAVI DI UN DIO MINORE
Sfruttati, illusi, arrabbiati: storie dal mondo del lavoro di oggi
di Loredana Lipperini, Giovanni Arduino

Schiavi di un Dio Minore

Sfruttati, illusi, arrabbiati: storie dal mondo del lavoro di oggi

di Loredana Lipperini, Giovanni Arduino

Gli schiavi di un dio minore vivono tra noi, anche se non li vediamo. Ne rimangono tracce sui giornali: il trafiletto su un bracciante morto di stenti in un campo di raccolta, l'editoriale sui magazzinieri che collassano a fine turno. Quelli che invece vivono lontani sono ridotti a numeri, statistiche: il tasso di suicidi nelle aziende asiatiche dove si producono a poco prezzo i nostri nuovi device, la paga oraria delle operaie cinesi o bengalesi che rendono così economici i nostri vestiti. D'altra parte si sa, l'abbattimento dei prezzi, senza intaccare i guadagni, si ottiene sacrificando i diritti e a volte la vita dei lavoratori, a Dacca come a Shenzhen o ad Andria. 

Ma non si tratta solo di delocalizzare o impiegare manodopera immigrata. La schiavitù si insinua nelle pieghe della modernità più smagliante: non c'è in fondo differenza tra i caporali dei braccianti e i braccialetti elettronici, i microchip, le telecamere e le cinture GPS, strumenti pensati per la sicurezza ma votati al controllo. Per non parlare della mania del feedback, del commento con le stellette, l'ossessione per il costumer care che mentre coccola il cliente dà un altro giro di vite alla condizione dei lavoratori. 

E dove manca il padrone, c'è lo schiavismo autoinflitto dei freelance, che sopravvivono al lordo delle tasse, senza ferie pagate, contributi, tempo libero. Indipendenti, sì, ma incatenati alle date di consegna e al giudizio insindacabile dei committenti, ai loro tempi biblici di pagamento. 

Nella trionfante narrazione dell'oggi, tutta sharing economy, start up e "siate affamati, siate folli", non c'è spazio per questi schiavi moderni. Ed è proprio raccogliendo le loro storie, le loro voci soffocate, che Giovanni Arduino e Loredana Lipperini smascherano gli inganni del nostro tempo, in cui la vita lavorativa si fa ogni giorno più flessibile, liquida, arresa: se la struttura legislativa del lavoro si smaterializza, tornare a parlare di corpi, a far parlare le persone, è un modo per non rassegnarsi e resistere.

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