In Italia ci sono circa seimila bambini che ogni giorno, per loro fortuna, vanno a scuola senza zaino.
Senza macigni sulla schiena, senza pesi che li fanno camminare più curvi, più lenti, e che magari spengono anche un po’ la voglia di fare e di imparare. Penne, libri, matite, colori, pennelli, quaderni, compassi, ma anche legno, creta, carta, ferro, giochi, numeri, parole, i bambini li trovano già a scuola, o magari li costruiscono, in un’aula dotata di tutto e dove ognuno è responsabile di sé.
È così, con una rappresentazione semplice che Marco Orsi, pedagogista, ex maestro elementare, oggi dirigente scolastico a Lucca, descrive il progetto “Senza zaino”, una didattica sperimentata dal 2002 in una rete di scuole primarie toscane, ma che adesso si sta diffondendo in tutta Italia.
D: Marco Orsi, come nasce questo progetto? E cosa vuol dire la metafora “Senza zaino”?
«Non è una metafora perché davveroi nostri bambini arrivano a scuola con una cartellina leggera leggera. E abbiamo deciso di definire la nostra didattica citando un oggetto di uso comune, ma strettamente connesso alla vita scolastica dei bambini, proprio per poter ripartire dai concetti basilari della scuola».
D: Quali ad esempio?
«L’aula, la cattedra, la disposizione dei banchi. Siamo partiti dalla constatazione che l’insegnamento dall’alto verso il basso – cioè il maestro in cattedra e i bimbi fermi nei banchi, il maestro che corregge e gli alunni che eseguono, ovvero una modalità passiva e identica a se stessa da oltre un secolo – non solo non è più attuale, ma è davvero inefficace con i bambini di oggi».
D: Su quali basi pedagogiche?
«Questo metodo, prima di tutto si basa sulla riscoperta del pensiero di Maria Montessori, ancora così poco attuato in Italia. La spinta è verso l’autonomia del bambino, che si autocorregge i compiti, che impara non soltanto attraverso l’astrazione dei concetti, ma toccando materialmente strumenti matematici, inventando oggetti, manipolando legno, creta, stoffa. E poi entrano in gioco le intuizioni di Howard Gardner, alcuni concetti del “metodo steineriano” l’arte, la musica. Il senso è quello di scoprire il mondo sia attraverso la mente che attraverso il corpo. E per questo non si può stare fermi nei banchi».
D: E allora come si studia, come si impara?
«Nel metodo “Senza zaino” noi diamo grande importanza all’architettura dell’aula. Lo spazio è diviso in aree di lavoro, dove i bambini si auto-organizzano, studiando spesso materie diverse da tavolo e tavolo. Quando finiscono si spostano nell’angolo della correzione, dove da soli, controllano il proprio compito. La classe è dotata di schedari, libri, classificatori, cerchiamo, ad esempio, per i bambini delle prime classi, penne con impugnature particolari, che facilitino l’ approccio alla scrittura…».
D: Questo permette di alzarsi, di muoversi. E l’insegnante?
«Raramente fa delle lezioni collettive, di solito segue i bambini gruppo per gruppo. Questo permette una didattica non standardizzata che non lascia indietro nessuno».
D: Ma i programmi sono quelli ministeriali?
«Sì certo, ciò che cambia è l’approccio. Noi lo chiamiamo “Metodo del Curriculo Globale”. Che si fonda su tre valori e sei pilastri. I tre valori sono: comunità, responsabilità, ospitalità. La comunità è quella dei professori. La responsabilità è quella dei bambini che vengono coinvolti, imparano ad autovalutarsi, a lavorare in autonomia».
D: E l’ospitalità?
«Sono le aule pensate come luoghi belli e accoglienti da un team di architetti e insegnanti. Hanno il laboratorio delle parole e quello dei numeri, le lavagne interattive, l’angolo del computer e quello dell’ arte, ma anche lo spazio dell’agorà, dove i bambini possono parlare, discutere, rilassarsi».
D:E loro, i bambini, cosa ne pensano?
«Sono entusiasti. Non fanno assenze. E raggiungono ottimi livelli di preparazione»
Fonte: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/03/30/senza-banchi-senza-zaino-cosi-imparare-diventa.html