La Schiava di famiglia

Questa è la storia di una donna che ha vissuto per 56 anni come schiava… non due secoli fa, ma fino al 1999.

Eudocia Tomas Pulido copertina di Atlantic

La copertina del numero dell’Atlantic di giugno 2017

Sul numero in uscita di giugno della rivista americana Atlantic, c’è un articolo intitolato “My Family’s Slave” (La schiava della mia famiglia), che racconta una storia vera e incredibile. L’autore dell’articolo è il giornalista americano di origini filippine Alex Tizon, vincitore di un premio Pulitzer nel 1997, morto lo scorso marzo. L’articolo parla di Eudocia Tomas Pulido, chiamata Lola, una donna vissuta nella famiglia di Tizon come schiava per 56 anni.

Inizia così: «Le ceneri erano all’interno di una scatola di plastica nera grande quanto un tostapane. Pesava poco più di un chilo e mezzo. Lo scorso luglio l’ho infilata in una borsa di tela che poi ho messo nella mia valigia per un volo intercontinentale diretto a Manila. Da lì avrei preso un’automobile per raggiungere un villaggio di campagna. Una volta arrivato avrei detto addio a tutto ciò che restava della donna che aveva passato 56 anni della sua vita come schiava della mia famiglia».

L’articolo di Tizon è lungo e commovente: vale la pena leggere l’originale, se capite l’inglese. Tizon spiega che nelle Filippine la schiavitù ha continuato a esistere per anni anche dopo la sua abolizione formale. Gli utusans erano persone che a causa della loro condizione economica, accettavano di vivere facendo qualsiasi tipo di servizio all’interno di famiglie abbienti: la parola giusta per definirli è “schiavi” perché non venivano pagati, ricevevano solo vitto e alloggio e non avevano libertà di movimento.

Eudocia Tomas Pulido era una di loro: il nonno di Tizon la “regalò” a sua madre nel 1943. All’epoca la madre di Tizon aveva 12 anni, Tomas Pulido 18: dagli 8 anni fino a quel momento aveva lavorato come contadina nei campi di riso e aveva preferito diventare una utusans piuttosto che sposare un uomo con il doppio dei suoi anni. La storia raccontata da Tizon è particolarmente toccante, soprattutto nei passaggi in cui descrive il rapporto tra Tomas Pulido e sua madre.

Uno di questi, tra i più condivisi, è quello in cui si parla di una volta in cui Tomas Pulido fu punita al posto della sua padrona: «Un giorno, durante la guerra, il Tenente Tom [il nonno di Tizon, ndr] tornò a casa e scoprì mia madre intenta a mentire – era una storia che riguardava un ragazzo con cui non avrebbe dovuto parlare. Tom, furioso, le ordinò di “mettersi davanti al tavolo”. La mamma indietreggiò con Lola verso un angolo della stanza. Poi, con voce tremante, disse a suo padre che Lola avrebbe subito la punizione al posto suo. Lola guardò la mamma in modo supplichevole, poi, senza dire una parola, si avvicinò alla tavola da pranzo e si tenne al bordo. Tom alzò la cintura e la colpì dodici volte, dicendo per ognuna una parola: “Tu. Non. Devi. Mentire. A. Me. Tu. Non. Devi. Mentire. A. Me. Lola non fece nessun rumore”».

Quando i genitori di Tizon si trasferirono negli Stati Uniti, nel 1964, si portarono dietro Tomas Pulido, promettendole che una volta in America l’avrebbero pagata, così che avrebbe potuto spedire dei soldi ai propri parenti. Non mantennero la promessa. Tomas Pulido crebbe i loro quattro figli e fu una presenza molto più costante per Tizon e i suoi fratelli rispetto ai genitori, che per sostenere la famiglia dovevano lavorare molto.

Oltre a essere una schiava, negli Stati Uniti Tomas Pulido divenne anche un’immigrata irregolare, una “tago nang tago” o “TNT” nel linguaggio degli immigrati filippini: significa “in fuga”. Quando la famiglia Tizon era immigrata negli Stati Uniti, infatti, aveva ricevuto un permesso per viaggiare e vivere con loro grazie all’impiego del padre per il consolato filippino di Los Angeles prima, per quello di Seattle poi: aveva diritto a portare con sé negli Stati Uniti la propria famiglia e un dipendente domestico. Solo che quando nel 1969 il padre di Tizon smise di lavorare per il consolato di Seattle il permesso di Tomas Pulido perse validità: sarebbe dovuta tornare nelle Filippine, ma la famiglia Tizon non glielo permise e la tenne chiusa in casa, nascondendo a chiunque la sua situazione di immigrata irregolare, oltre che di schiava.

Eudocia Tomas PulidoUn aspetto molto interessante dell’articolo, è proprio il rapporto tra Tizon e i suoi fratelli e questa specie di madre adottiva: grazie all’educazione ricevuta negli Stati Uniti, i figli dei Tizon si rendevano perfettamente conto del fatto che Tomas Pulido lavorasse come schiava, ma non volevano mettere in difficoltà i loro genitori. A Tomas Pulido non fu permesso di tornare nelle Filippine nemmeno per il funerale dei propri genitori, nel 1973 quello della madre, nel 1979 quello del padre.

Tomas Pulido divenne cittadina americana solo nel 1998, dopo un lungo processo per regolarizzarla, cominciato grazie alle insistenze di Alex Tizon e dei suoi fratelli. L’anno successivo la madre di Tizon, con cui Tomas Pulido aveva sempre vissuto, anche dopo il divorzio dal marito, morì e Tomas Pulido si trasferì nella casa di Alex Tizon, di sua moglie e delle loro due figlie. All’epoca aveva 75 anni. Tizon e sua moglie le diedero una stanza, le dissero che poteva fare quello che voleva e cominciarono a darle 200 dollari a settimana, che lei mandava quasi interamente ai suoi parenti nelle Filippine. Tornò un’unica volta nel suo paese natale, a 83 anni: alla fine del viaggio, lungo un mese, Tizon le chiese se voleva rimanere nelle Filippine, ma lei disse di voler tornare «a casa», negli Stati Uniti.

Eudocia Tomas Pulido è morta nel 2011, a 86 anni, per un attacco di cuore; esattamente dodici anni prima era morta la madre di Tizon. L’articolo pubblicato dall’Atlantic, alterna passaggi che raccontano la sua vita ad altri sul viaggio che Tizon ha fatto nelle Filippine nel luglio 2016, per consegnare le ceneri di Tomas Pulido ai suoi parenti. L’articolo si conclude con il racconto della cerimonia funebre, in cui Tizon si trova a piangere, cinque anni dopo la morte di Tomas Pulido, senza rendersene conto.

Fonte: http://www.ilpost.it/2017/05/18/articolo-schiava-domestica-stati-uniti-atlantic/

LO SCHIAVO
di Anand Dìlvar

Lo Schiavo

di Anand Dìlvar

Per la profondità dei suoi contenuti il libro “Lo Schiavo” è stato introdotto nelle università Messicane come testo di studio.

"In ognuno di noi c'è una grande forza che ci permette di uscire dalle peggiori situazioni"
Anand Dilvar

Una festa, l’alcol, lo sballo, un terribile incidente, la corsa in ospedale, il coma.
Nella totale immobilità il protagonista, sente e vede tutto, impotenza e odio si impossessano di lui: odio verso chi lo tiene in vita, odio verso la vita stessa.

Quando però arriva a invocare la morte... sente una voce, una specie di Guida, che inizia con lui una conversazione a caccia del senso della vita. Incalzato da questa voce, si rende conto di essere fuggito da tutte le sue responsabilità, di essersi trasformato in uno schiavo e di aver vissuto di risentimenti, infelicità e rancore. Mentre trascorrono i giorni, assaggiando la morte, incomincia ad apprezzare la vita, mentre sperimentando la più cupa disperazione ritrova l’amore.

Durante questo viaggio interiore verso la libertà, avviene l’ultima terribile battaglia: i medici fra 6 ore spegneranno la macchina che lo tiene in vita.

All'improvviso la Guida gli concede un ultimo grande dono.

Con un finale inaspettato e commovente, l’autore conduce il lettore in un intenso viaggio alla conquista dell’essenza della vita che vince la solitudine e che condurrà il protagonista alla conquista più preziosa: la consapevolezza di essere parte di qualcosa di grandioso, di uno splendido disegno in cui la vita si prende cura di tutto ciò che esiste, anche di ognuno di noi...

La vita è un miracolo e una grande occasione.
È come se ogni giorno ti offrissero un tesoro,
e tu non lo prendessi.

Tu hai la chiave della tua prigione.

...

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