La Libia mette nel mirino le Ong e il nostro Paese rifinanzia i suoi campi di detenzione

di Marco Dotti

Il Governo libico vara un decreto che criminalizza le ONG che operano in area Sar, mentre fra pochi giorni, senza un preciso intervento, assisteremo al rinnovo automatico dell’accordo Italia-Libia. Altri 50 milioni di euro l’anno finanzieranno i campi di detenzione al centro di documentate denunce di autorità internazionali e organizzazioni umanitarie.

“È un dittatore, ma è il nostro dittatore” si diceva di Gheddafi. Il lavoro sporco, le democrazie, se tali vogliono restare almeno nella forma, lo devono appaltare. Così, in Turchia, dove Erdogan riceve circa 6 miliardi dall’Europa per la “gestione dei profughi”, salvo poi minacciare: “vi manderemo 3 milioni di migranti, se ostacolerete le nostre operazioni” in Kurdistan (dichiarazione del 10 ottobre scorso).

Ma la Libia? La Libia non è diversa eppure, al tempo stesso, lo è. Non c’è un uomo forte al comando (blanda consolazione immorale), ma una serie di bande parastatali e un quasi-Stato che per molti versi ha il profilo di un anti-Stato.

Il 3 novembre, salvo interventi in extremis, assisteremo al rinnovo automatico del memorandum con la Libia, un patto siglato il 2 febbraio del 2017 dal governo Gentiloni con il supporto economico dell’Europa e riconfermato lo scorso anno dal governo giallo-verde.

La linea di faglia della continuità supererà quella del cambiamento? L’automatismo del rinnovo segnerà il passo del definitivo disimpegno morale sulla questione dei rifugiati e delle migliaia di persone detenute nei campi libici? Lecito chiedersi – se ne ha una – qual è la posizione dell ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che molti dicono troppo impegnato a leccarsi le ferite elettorali in Umbria, a fronteggiare il dissenso interno e totalmente disimpegnato su una questione che riguarda esteri e non solo Interni.

Due i nodi cruciali, drammatici dell’accordo. Primo, diretto: i campi di detenzione in Libia, finanziati dal nostro Paese, formalmente condannati dall’UE, e al centro di decine di denunce per abusi, maltrattamenti e financo torture. Secondo, indiretto: le Ong, al di là delle dichiarazioni di facciata, sono una spina nel fianco di tutti i governi: il caso “Ocean Viking” lo dimostra. Così, per togliere le castgne dal fuoco è intervenuto proprio alla vigilia del rinnovo il (non) Governo Serraj, che vuol disporre il sequestro e l’accompagnamento nel porto libico più vicino per le imbarcazioni non preventivamente autorizzate.

In sostanza: sarà impossibile operare per le ONG (*che in sé potrebbe essere anche un bene, visto che alla fine non fanno altro che partecipare al traffico di esseri umani e al relativo business, patinandosi però ipocritamente da salvatori di vite e difensori dei diriti umani).

Fra tre giorni, l’Italia potrebbe dunque staccare un nuovo assegno da 50 milioni di euro all’anno, aggiungendo denaro ai 328 milioni che dal 2016 l’Europa destina per sostenere il finanziamento dei centri di detenzione. Un’Europa che formalmente predica le frontiere aperte, ma poi esternalizza il lavoro sporco. Solo che, stavolta, quel lavoro sporco (per l’Ue) lo facciamo noi. Possiamo davvero tollerarlo?

Articolo di Marco Dotti

(*) nota di conoscenzealconfine

Rivisto da Conoscenzealconfine.it

Fonte: http://www.vita.it/it/article/2019/10/30/la-libia-mette-nel-mirino-le-ong-e-il-nostro-paese-rifinanzia-i-suoi-c/153131/

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