Tutte le esistenze, gli oggetti, in una parola i fenomeni, sono manifestazioni momentanee, lampeggiamenti effimeri che durano soltanto per un momento, dato che scompaiono non appena comparsi, per essere seguiti da altri, altre esistenze e così via.
Impressionato dalla transitorietà e dall’incessante mutazione e trasformazione dei fenomeni, Gautama Buddha li considera forze, movimenti, sequenze e processi, adottando così una concezione dinamica della realtà. Il mutamento, il divenire, è la consistenza stessa della realtà.
Qualunque fenomeno abbia una causa deve perire, perché contiene in se stessa l’implicita necessità della dissoluzione. Nel mondo non c’è né permanenza né identità. Non vi è nulla di stabile, di duraturo e di permanente.
Tutto cambia istante dopo istante, come il corso d’una cascata che – benché ci appaia sempre uguale – è tuttavia in continuo cambiamento, poiché l’acqua vi si rinnova incessantemente e non una goccia resta al suo posto.
Impermanenza significa, quindi, che tutti i fenomeni (cose, esseri, sensazioni, emozioni, pensieri, situazioni) sono soggetti al nascere e morire. Tuttavia, senza l’impermanenza, la vita non sarebbe possibile: un seme di grano non potrebbe crescere, un bambino non potrebbe invecchiare, ammalarsi e morire.
Anche la nostra personalità, il nostro io, la nostra individualità non è un fatto reale ed ultimo, bensì solo un nome, che copre una moltitudine (un flusso) di elementi psicofisici interconnessi e in relazione tra loro. L’individuo è solo una combinazione di forze e energie psico-fisiche in continuo mutamento.
Cosa ci insegna l’impermanenza?
L’impermanenza ci insegna soprattutto a guardare le cose e le situazioni così come sono, senza sviluppare sentimenti di attaccamento o di avversione. Noi soffriamo non perché l’impermanenza sia di per sé sofferenza, ma perché non riusciamo ad accettare che le cose cambino.
Secondo l’opinione corrente, la permanenza dà sicurezza, l’impermanenza no. In realtà, invece, l’unica cosa durevole è paradossalmente proprio l’impermanenza. E la nostra lotta per trattenere le cose così come oggi sono, non solo è impossibile, ma ci provoca proprio quella sofferenza che vogliamo evitare. L’errore sta nel fatto che – per essere felici – ci afferriamo a ciò che è per natura inafferrabile.
L’insegnamento del Buddha sull’impermanenza e sul ‘non io’, è una chiave per considerare le cose per ciò che sono: la povertà non è meno transitoria della ricchezza, la stupidità non lo è meno della saggezza. Una tale visione ci libera dall’attaccamento alle cose del mondo e ci infonde il coraggio di affrontare – senza avversione – gli inevitabili cambiamenti che intervengono nella vita: dalla perdita della giovinezza (e della vita stessa) ai mutamenti legati agli affetti, al lavoro, alla salute.
Comprendere l’impermanenza porta ad accettare il presente, il “qui e ora” senza dar spazio e proiezioni riguardo al futuro e senza “ricamare” sui ricordi del passato. E siccome è sempre il momento presente, accettare il presente significa accettare la vita.
Fonte: http://www.progettoatlanticus.net/2016/03/la-lezione-dellimpermanenza.html