di Laura Cianciarelli
Negli ultimi vent’anni, il dibattito pubblico a livello internazionale si è focalizzato sul cosiddetto “islam radicale”, la corrente conservatrice che, attraverso interpretazioni letterali della sharia, invoca un ritorno ai fondamenti dell’islam, ritenuti autentici e infallibili.
A partire dalle Primavere arabe, le discussioni hanno riguardato anche l’islam politico. Il cambio di strategia dei gruppi islamisti è stato infatti evidente: la Fratellanza musulmana in Egitto o Ennahda in Tunisia, ad esempio, hanno saputo utilizzare in modo sapiente la propaganda, riuscendo a trasformarsi da movimenti emarginati ad attori di primo piano nelle competizioni politiche ed elettorali.
In entrambi i casi, l’islam è visto come un’ideologia religiosa promossa da attori non statali che ambiscono a trasformare in senso “islamico” la società. Un aspetto molto meno analizzato nel dibattito pubblico è, invece, la strumentalizzazione che dell’islam viene fatta dai governi stessi dei Paesi arabi, in funzione di soft power.
Da un’analisi effettuata recentemente dai ricercatori Peter Mandaville e Shadi Hamid, emerge come, in quasi tutti i Paesi a maggioranza musulmana, l’islam rappresenti un importante strumento ideologico in grado di combaciare perfettamente con la più classica realpolitik: in altri termini, un mezzo come altri di politica estera, sfruttato dai governi per incrementare il proprio prestigio e promuovere i loro interessi all’estero.
Cos’è il soft power
Il soft power è un concetto elaborato dallo scienziato politico Joseph S. Nye verso la fine della Guerra fredda. Il termine viene utilizzato nella teoria delle relazioni internazionali, per indicare la capacità degli Stati di ottenere una più ampia influenza nel mondo, combattendo gli avversari attraverso l’utilizzo del potere seduttore della propria cultura, dei valori e dello stile di vita nazionali.
Anche le grandi religioni possiedono tradizionalmente una forte capacità di soft power e svolgono un ruolo di rilievo a livello internazionale. Non è un caso, infatti, che la rivista Forbes abbia assegnato a papa Francesco il sesto posto nella lista degli uomini più potenti al mondo nel 2018. Le modalità di influenza delle religioni sono sostanzialmente due: diretta e indiretta. L’azione diretta è quella realizzata dagli attori religiosi che operano direttamente sul campo; l’azione indiretta viene attuata attraverso la diffusione di norme e valori, stabiliti dalle istituzioni religiose, e la promozione di una cultura corrispondente.
Il soft power nell’islam
Nel caso della religione del Corano, il ricorso all’islam come soft power, in realtà, non è nuovo ed è generalmente effettuato su un doppio binario, che corrisponderebbe ai due rami principali dell’islam: il sunnismo e lo sciismo. Secondo il settimanale inglese The Economist, protagonisti di queste due branche della religione musulmana sarebbero, da un lato, la casata reale saudita, che diffonde i principi dell’islam sunnita, e, dall’altro, l’Iran, che sostiene i dettami dello sciismo.
Già negli anni Settanta del Novecento, sia Teheran che Riad avevano iniziato a diffondere le loro concezioni religiose al di là dei confini nazionali. Da parte sua, l’Arabia Saudita aveva sfruttato la ricchezza economica e il prestigio religioso, dovuto alla presenza sul proprio territorio nazionale di due luoghi santi dell’islam, Mecca e Medina, per investire miliardi di dollari nella costruzione di moschee, nella diffusione di testi religiosi e nel finanziamento di borse di studio destinate alle università religiose saudite. Nonostante l’obiettivo fosse quello di diffondere la visione ultraconservativa dell’islam, promossa dalla famiglia reale saudita, ciò aveva consentito di raggiungere anche uno scopo politico: ovvero permettere all’Arabia Saudita di competere con i suoi rivali regionali.
L’Iran, invece, in seguito alla rivoluzione iraniana del 1979, con la successiva nascita della repubblica islamica sciita, aveva iniziato a diffondere lo sciismo con lo scopo di attrarre le minoranze non sunnite presenti in numerosi territori della regione.
Il soft power dalle Primavere arabe ad oggi
Più recentemente, il soft power islamico è stato uno strumento molto utilizzato durate le Primavere arabe del 2011. Le moschee si sono particolarmente distinte in quegli anni per essere un potente luogo di aggregazione. Qui, i poveri e gli emarginati dalla società, oltre a ricevere aiuti economici, alimentari e materiali, hanno ascoltato un’ideologia diversa dal modello nazionalista e occidentalizzato promosso dalla classe al potere, ormai considerato, dal loro punto di vista, fallimentare. Questo ha facilitato il compito di gruppi politici islamisti, che hanno sfruttato il momento per diffondere la propria idea di islam politico.
Ad oggi, l’utilizzo del soft power islamico si è ulteriormente rafforzato. La religione islamica è sempre più centrale per la politica estera dei governi musulmani, i quali provano a modellare il discorso politico con gli altri Stati al fine di realizzare i propri interessi nazionali. Non solo: la divisione binaria tra sunniti sauditi e sciiti iraniani sarebbe stata superata, consentendo così ai singoli Stati a maggioranza musulmana, di diffondere la propria particolare versione dell’islam a livello internazionale, con conseguenze imprevedibili sullo scacchiere mediorientale e internazionale.
Articolo di Laura Cianciarelli
Fonte: http://www.occhidellaguerra.it/lislam-tra-propaganda-e-soft-power/