“Vedono solo la sindrome di Down, non vedono me”: la pensa così una ragazza con la trisomia 21, intervistata da Elaine Quijano, l’autrice dell’inchiesta CBS, che ha puntato i riflettori sul caso dell’Islanda, dove, da una popolazione di 335 mila abitanti, nascono soltanto uno o due persone con sindrome di Down ogni anno.
Un enorme successo delle cure scientifiche? Non proprio… piuttosto un’impennata delle interruzioni volontarie di gravidanza, che dopo una risposta positiva del test prenatale, quando cioè esso rivela la trisomia 21, raggiungono quasi il 100% in Islanda, il 98% in Danimarca, il 90% nel Regno Unito, il 77% in Francia e il 67% negli Stati Uniti, secondo i dati dell’inchiesta CBS.
Dall’inizio del millennio è stato infatti introdotto un esame che permette di diagnosticare la trisomia 21 con una precisione dell’85%. Vi si sottopone tra l’80 e l’85% delle donne in Islanda, dove la legge permette di interrompere la gravidanza anche dopo la sedicesima settimana nel caso di anomalie del feto, tra cui è compresa la sindrome di Down.
Antonella Falugiani, presidente di Coordown, trova che ci sia molta disinformazione: “Chiaramente la sindrome di Down è una patologia che dà ritardi cognitivi, ma ci sono anche tante prospettive e oggi con la riabilitazione precoce, si ottengono dei risultati insperati, che portano i ragazzi a un futuro indipendente e alle massime autonomie possibili. Sono persone che danno moltissimo”.
Anna Contardi, coordinatore nazionale dell’Associazione Italiana Persone Down (AIPD) e presidente della European Down Sydrome Association (EDSA) dichiara ai nostri microfoni: “Credo che quello islandese sia un caso da guardare con attenzione, ma anche da ridimensionare. Quando si parla di numeri piccoli incide moltissimo la coscienza individuale. Però, credo che ancora una volta se ci mettiamo a portare l’attenzione solamente al tema del poter far nascere un bambino con la sindrome di down, non poniamo l’attenzione sul tema più interessante che è come far vivere bene una persona con una sindrome di Down. Per esempio, in Italia negli ultimi anni c’è stata sicuramente una diminuzione delle nascite, però è aumentato il numero di persone che pur sapendo di avere un bimbo con la sindrome di Down, hanno deciso di portare avanti la gravidanza. Questo probabilmente perché in Italia è un po’ cambiata l’immagine di chi sono le persone con sindrome di down, grazie all’integrazione e chiaramente alla possibilità oggi di una persona con tale sindrome, di poter raggiungere un discreto livello di autonomia“.
Per la presidente di Coordown – mamma di una ragazza con sindrome di Down e da diciotto anni vicina alle persone con trisomia 21 – “una società senza persone con la sindrome di Down non è una società più sana, più evoluta, ma una società che perde molto sotto tanti aspetti”. Continua la Falugiani: “Ci insegnano ad apprezzare la vita e le piccole cose, a rendere questo mondo più umano e migliore”.
Tratto da: Radio Vaticana