di Vincenzo Marranca
“Sarebbe stato bello farsi portare via dal vento. Mi sentii magnificamente solo, senza responsabilità, senza le lacrime di nessuno” – Tiziano Terzani
Ho imparato a stare solo. Per tanto tempo, mi sono ritrovato in una stanza vuota, ascoltando lo scorrere della vita che, lontana da quelle mura, continuava felice senza notare che io non c’ero. Sentivo le voci dei vicini, il rumore delle macchine che andavano e venivano, suoni ammutoliti, come ovattati. A momenti era come essere in una cella, ma la porta era aperta, potevo uscire quando mi pareva, eppure restavo dentro. Alla sera, nei fine settimana, quando la gente sfilava tra i bar, i ristoranti e le discoteche, mentre bevevano per dimenticarsi della settimana passata e di quella a venire, io non avevo niente da dimenticare, niente da festeggiare, e me ne stavo seduto, seduto su un divano accanto a quel pensiero che continuava a chiedere, “perché sei diverso?“, “perché sei solo?”. Era come condividere una gabbia di due metri quadrati con un tipo che non la smette mai di parlare e di rompere le palle. Per farlo stare zitto dovevo accendere la televisione, andar fuori a fumare, mettermi a dormire. Scappare era impossibile.
Adesso, quando ci ripenso a quegli anni passati a sbattere la testa contro il muro della solitudine, mi viene la tenerezza. Perché era quel senso di tristezza, di non appartenenza, che mi ha spinto a scoprire chi sono. Le emozioni di sconforto, i pruriti spirituali, la scomodità dell’anima, sono sintomi di sanità mentale, perché è il mondo in cui viviamo che di sano ha ben poco.
Quando l’anima inizia a scalpitare vuol dire che è irrequieta, che non si trova bene nel posto dove l’abbiamo messa, che non riesce ad entrare nel ruolo che le abbiamo dato, come il tassello giusto di un puzzle sbagliato. Allora invece di metterla a tacere con i farmaci, i reality show, i film, le droghe o le distrazioni, bisogna starsene da soli, in silenzio, per provare a sentire cos’ha da dire.
So che non é facile. Là fuori è una corsa sfrenata per arrivare in cima a una montagna di promesse e aspettative, e a volte si ha solamente bisogno di “staccare la spina”. Io però mi guardo intorno e vedo che vivere evitando di vivere è diventata la norma, la norma del lavorare per potersi riposare. Che peccato. È bastarda questa competizione che ci siamo imposti, quest’esigenza di faticare per sopravvivere, ci mette i bastoni tra le ruote, ci impedisce di esplorare, di avere tempo per noi stessi, di tornare al gioco, al divertimento.
Forse non ci crederai ma è possibile vivere diversamente. Basta solo che inizi a pensarci… a come sarebbe bello passare le giornate a danzare, a fare musica, a nuotare, a fare il vino, a dipingere, a progettare librerie, a scrivere storie, a scattare fotografie. Soffermati su quest’idea, sulla visione di una vita originale dove sei libero di fare ciò che ami, tutti i giorni… ma sta attento al carabiniere razionale, quel pensiero che ti ferma e chiede “come farai?… a pagare l’affitto, a fare la spesa?”, “dove troverai il tempo?”, “come farai con gli impegni di lavoro e cosa penseranno la famiglia e gli amici?”. Quando si lascia che “il buon senso” prenda il controllo del volante, il caravan in partenza per una terra sconosciuta si ferma prima ancora di iniziare, e ritorna tra i binari della quotidianità, con il pranzo all’una, il turno settimanale, lo studio pomeridiano, la pizza del sabato e il calcio la domenica.
D’altronde è “normale” che sia così, perché è in questo modo che ci insegnano a vivere a scuola, a casa e in piazza. Ricordo il consiglio che mi diede una cara amica, quando le comunicai che volevo abbandonare la mia laurea in legge per dedicarmi alla musica… mi disse: “dovresti finire i tuoi studi e diventare avvocato, poi sarai libero di fare il musicista nei fine settimana e avrai pure abbastanza soldi per finanziare la tua passione”. Ma allora che senso ha?
Se un amico ti confessa di voler fare il medico non vai a consigliargli di iscriversi a giurisprudenza e poi studiare medicina il sabato e la domenica giusto? Allora perché l’ambito creativo, il lavoro che solletica e fa crescere la mente, contrariamente a quello “d’ufficio” che rincorrono tutti, è considerato “non sicuro”? Come mai al giorno d’oggi guadagnarsi da vivere facendo qualcosa che si ama, che diverte, è considerato un privilegio o una rarità? Ovunque vado nel mondo, la gente mi chiede se sia davvero possibile vivere facendo il musicista, se non ci sia anche bisogno di un lavoro sicuro, “on-the-side”. E la cosa che penso è sempre la stessa: mi sentirei molto più in pericolo lavorando in banca, che facendo il musicista squattrinato. Per una semplice ragione: non esistono mezze misure nella vita, non ci sono strade più sicure o facili. Anzi, la strada che sembra più sicura, perché “garantita”, non è garantita per niente, ed è quella che a lungo andare provocherà livelli insopportabili di insoddisfazione, e sarà questa, quindi, la più pericolosa.
Vi prego di considerare che questa non è una critica a priori del posto fisso. Il lavoro, l’ufficio, la cultura delle otto ore giornaliere, non sono in sé negative. È l’uso che ne facciamo che finisce per creare interferenze alla naturale tendenza verso la felicità, il fatto che spesso le rincorriamo per il reddito invece che per la sostanza. Tutto quello che facciamo, se lo facciamo per il motivo sbagliato finirà per deprivarci della gioia di vivere. Ho sentito storie di persone stanche di suonare per l’orchestra sinfonica di Boston, come di persone stanche di lavorare per società di consulenza finanziaria. Il fatto che la musica o l’arte siano alcune tra le attività creative per eccellenza, non vuol dire che facendole uno possa automaticamente trovare la felicità. C’è chi gioisce nel comporre una sinfonia, come c’è chi trova la felicità nell’inventare una nuova miscela di caffè.
È la consapevolezza del motivo dietro le nostre scelte di vita che fa la differenza, la consapevolezza di chi siamo veramente. Questa “chiarezza di intenti” regala la spontaneità, dà senso al tempo, al silenzio, ci fa sentire in pace con noi stessi, ci rende unici, rende la nostra vita originale. Come l’amante gioisce nel sapere di essere il solo per la persona amata, il tuo dono ti darà la profonda soddisfazione di avere una voce che è solamente tua, come un sentiero di idee inesplorate. Ci facciamo spesso in quattro per essere come gli altri, per rincorrere la normalità, per corteggiarla, mentre sono gli “anormali” a far girare il mondo, quelli che inventano, che scrivono, che cantano, che scoprono, che giocano con la vita.
I pionieri della musica o della tecnologia o dell’arte, i visionari, non hanno niente in più rispetto a me o a te. Si tratta semplicemente di persone che sono riuscite ad allontanarsi dal recinto del pensiero standardizzato, dando libero sfogo alla propria originalità, accettando il rischio del fallimento, il rischio della povertà. Tutti noi abbiamo qualcosa di completamente originale da scoprire, ed è possibile imparare di cosa si tratti, così com’è possibile imparare la biologia o la matematica. È solo una questione di priorità, di motivazione.
Il passaggio dalla norma all’eccezione, dall’ordinario allo straordinario, si effettua spostando l’attenzione dalla sicurezza all’incertezza, dal denaro alla soddisfazione personale, dalla conoscenza della materia a quella dell’anima. È un passaggio che cambia la vita, e una volta effettuato sarà impossibile tornare indietro.
Articolo di Vincenzo Marranca
Fonte: https://www.crescitaspirituale.it
Ci siamo giá conosciuti? Perché hai descritto la mia vita e i miei prnsieri… grazie!