Con il voto dello scorso 14 giugno il Parlamento ha approvato in via definitiva la legge che riforma il codice penale e il codice di procedura penale. Tra le varie novità introdotte con la riforma, una in particolare è stata letteramente ignorata dal grande pubblico, ma in realtà pone una importante minaccia per la riservatezza dei cittadini: l’introduzione del “trojan” di Stato.
La legge prevede infatti l’utilizzo dei cosiddetti “captatori informatici” per i dispositivi elettronici portatili (dai computer agli smartphone, ma anche qualsiasi apparecchio dotato di microfono, come le Smart Tv o gli elettrodomestici a comando vocale).
La nuova legge prevede che l’autorità giudiziaria è autorizzata ad installare un “captatore informatico”, comunemente detto “Trojan di Stato”, sui dispositivi da controllare e ne regolamenta l’uso attraverso alcune direttive.
Innanzitutto, l’attivazione del microfono deve avvenire soltanto quando viene inviato un comando esplicito, in base a quanto stabilito dal decreto del giudice che ne autorizza l’uso. Dopodichè, la registrazione deve essere avviata dalla Polizia Giudiziaria, che è tenuta ad indicare nel “brogliaccio” orario di inizio e fine della registrazione.
Ma la nuova legge sembra non preoccuparsi di affrontare le questioni giuridiche connesse a tutte le altre attività che possono essere eseguite da un trojan e che consentono agli inquirenti di accedere a tutto il contenuto del device infettato: file, e-mail, chat, immagini, video, rubriche, screenshot, etc.
Di fatto il “Trojan di Stato” priva i cittadini di un’adeguata tutela in relazione ad alcuni tra i più essenziali diritti fondamentali, concetto espresso per la prima volta dalla Corte Costituzionale nel 1973 (sentenza n.34/1973), stando al quale “le attività compiute in spregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito“.
Fonte: http://www.italianamente.net/il-grande-fratello-e-stato-istituzionalizzato/