di Mimmo Càndito
Questo titolo non è fatto per impressionare; anzi, è persino riduttivo rispetto alla realtà, visto che la percentuale precisa si avvicina all’80%. E questo vuol dire, che tra la gente che abbiamo attorno a noi, al caffè, negli uffici, nella metropolitana, nel bar, nel negozio sotto casa, più di 3 di loro su 4 sono semi analfabeti: discutono, fanno il loro lavoro, parlano di politica e di sport, sbrigano le loro faccende senza apparenti difficoltà, non li distinguiamo, insomma, con alcuna evidenza da quell’unico di loro che non è analfabeta.
Qual é questa loro diversità allora? Che sono incapaci di ricostruire ciò che hanno appena ascoltato, o letto, o guardato in tv e sul computer. La (relativa) complessità della realtà gli sfugge, colgono soltanto barlumi, lampi di parole e di significati, privi tuttavia di organizzazione logica, razionale, riflessiva.
Non sono certamente analfabeti “strumentali”, bene o male sanno leggere e, più o meno, sanno far di conto (comunque c’è un 5% della popolazione italiana che ancora oggi è analfabeta strutturale, “incapace cioè di decifrare qualsivoglia lettera o cifra”), ma sono analfabeti “funzionali”, si trovano cioè in un’area che sta al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura o nell’ascolto di un testo di media difficoltà. Hanno perduto la funzione del comprendere, e spesso, quasi sempre, non se ne rendono nemmeno conto.
Quando si dice che quella di oggi non è più la civiltà della ragione ma la civiltà dell’emozione, si dice anche di questo. Ciò disegna un profilo di società nella quale la competenza minima per individuare una capacità di articolazione del proprio ruolo di “cittadino” – di soggetto consapevole del proprio ruolo sociale, disponibile a usare questo ruolo nel pieno controllo della interrelazione con ogni atto pubblico e privato – appartiene soltanto al 20% dei nostri connazionali.
E’ sconcertante, e facciamo fatica ad accettarlo. Ma gli strumenti scientifici di cui la linguistica si serve per analizzare il rapporto tra “messaggio” e “comprensione”, hanno una evidenza drammatica. Ovviamente, non é un problema soltanto italiano. L’evoluzione delle tecnologie elettroniche e la sostituzione del messaggio letterale con quello iconico, stanno modificando un po’ ovunque il livello di comprensione; ma se le percentuali attribuibili ad altre societá (Francia, Germania, Inghilterra, o anche gli Usa, che non sono affatto il modello metropolitano del nostro immaginario, ma piuttosto un’ampia America profonda, incolta, ignorante, estremamente provinciale) denunciano incoerenze e ritardi, mai si avvicinano a queste angosciose latitudini, che appartengono soltanto all’Italia e alla Spagna.
Il “discorso” è complesso, e ha radici profonde, sociali e politiche. Se prendiamo in mano i numeri, con il loro peso che non ammette ambiguità e approssimazioni, dobbiamo ricordare che nel nostro paese più di 23 milioni di italiani, circa il 40%, non ha alcun titolo di studio o ha, al massimo, la licenza della scuola elementare. Non é che la scuola renda intelligenti, però fornisce strumenti sempre più raffinati – quanto più avanti si vada nello studio – per realizzare pienamente le proprie qualità individuali.
Vi sono anche laureati e diplomati che sono autentici incapaci ignoranti, e però è molto più probabile trovare “incapaci” tra coloro che laurea e diploma non sanno nemmeno che cosa siano. La percentuale dei laureati in Italia, poi, é poco maggiore della metà dei paesi più sviluppati.
Diceva Tullio De Mauro, il più noto linguista italiano, ministro anche della Pubblica Istruzione, che più del 50% degli italiani si informa (o non si informa), vota (o non vota), lavora (o non lavora), seguendo soltanto una capacità di analisi elementare: una capacità di analisi, quindi, che non solo sfugge le complessità, ma che anche davanti a un evento complesso (la crisi economica, le guerre, la politica nazionale o internazionale) é capace di una comprensione appena basilare.
Un dato impressionante ce l’ha fatto appena conoscere l’Istat: il 18,6 per cento degli italiani, cioè quasi uno su 5, lo scorso anno non ha mai aperto un libro o un giornale, non é mai andato al cinema o al teatro o a un concerto, e neppure allo stadio, o a ballare. Ha vissuto prevalentemente per la televisione come strumento informativo fondamentale, e non é azzardato credere – visti i dati di riferimento della scolarizzazione – che la sua comprensione della realtà lo piazzi a pieno titolo in quell’80% di analfabeti funzionali (che riguarda comunque un universo sociale drammaticamente molto più ampio di questa pur amara marginalità).
Tutto questo discorso ha ovviamente al centro la scuola, il sistema educativo del paese, le scelte e gli investimenti per la costruzione di un modello funzionale che superi il ritardo con cui dobbiamo misurarci in un mondo sempre più aperto e sempre più competitivo. Se noi destiniamo alla ricerca la metà di un paese come la Bulgaria, evidentemente c’é un “discorso” da riconsiderare.
Articolo d Mimmo Càndito
Rivisto da Conoscenzealconfine.itFonte: http://www.lastampa.it/Page/Id/6.1.3041042016