di Cristina Gauri
Le restrizioni anti-Covid hanno colpito soprattutto i più giovani, che riportano diversi deficit fisici e cognitivi. I numeri fanno rabbrividire e gettano una fosca luce sul futuro delle nostre società.
Se smettessimo per un attimo di pensare ai bambini come a “piccoli esseri umani”, mettendoci nell’ordine di idee che proprio a loro è affidata l’eredità e la costruzione del mondo futuro, dovremmo cominciare seriamente a spaventarci. Il dramma non sta solo nel fatto che stiamo per consegnare loro un mondo a pezzi: non gli stiamo nemmeno fornendo gli strumenti per (ri)costruirlo.
I due anni di pandemia, nello specifico, hanno privato i più giovani – dai piccolissimi fino agli adolescenti – di quella parte di sfera emotiva e sensoriale che contribuisce allo sviluppo di tutta una serie di capacità-base, il cui deficit renderà estremamente drammatico affrontare le sfide a cui saranno chiamati.
Due anni di didattica a distanza, lockdown, misure schizoidi e di nessuna utilità sanitaria, hanno sacrificato almeno due generazioni: segregate, criminalizzate, private del diritto al gioco e alla socializzazione, spaventate a morte da una terrordemia spietata e da genitori ancora più terrorizzati.
Il sempiterno Burioni è arrivato a etichettarli come “maligni amplificatori biologici” del virus, i piccoli untori che hanno falciato una generazione di nonni. Nell’incubo di decreti contradditori e schizofrenia burocratica stile DDR, in questi due anni non vi è stato un provvedimento, o una presa di posizione, che sollevasse i più piccoli o i più giovani dal macigno infame della responsabilità di “diffondere il virus” e di “far ammalare i più fragili”.
Dalla Mente…
La fotografia che emerge da una ricerca dell’Associazione italiana di pediatria sull’aumento di malattie psichiatriche nei giovani, tra il marzo 2020 e il marzo 2021, finisce per restituire la realtà di un’altra pandemia: quella che mina la salute psichica di bambini e adolescenti. Le misure anti-Covid, dalle mascherine al divieto di contatto, dagli ossessivi controlli delle forze di polizia al lockdown e al coprifuoco, fino ad arrivare alla spaccatura sociale provocata da green pass e vaccini, hanno trasformato i giovani in una materia inerte su cui esercitare qualunque forma di controllo sociale: i sociologi, non a caso, parlano di “istituzionalizzazione totale”, come se la vita fosse ormai ingabbiata in una sorta di carcere in cui ogni attività è controllata, normata o vietata da un potere centrale.
Secondo Massimo Ammaniti, professore emerito di Psicopatologia dello sviluppo presso la facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università di Roma, in questi due anni “circa il 30% dei bambini ha avuto difficoltà e disturbi della regolazione emotiva, disturbi del sonno, irritazione”. Negli adolescenti il dato e la gravità dei problemi legati alla sfera psichica peggiorano: disturbi alimentari, depressione, alcolismo, tentativi di suicidio, automutilazioni, sindrome da deprivazione sociale.
I ricoveri per motivazioni psichiatriche fanno registrare un aumento dell’84% rispetto al periodo pre-Covid. Numeri confermati da un’analisi pubblicata da Jama Pediatrics, che comprende 29 studi condotti su oltre 80mila giovani: oggi 1 adolescente su 4, in Italia e nel mondo, ha sintomi clinici di depressione e 1 su 5 segni di un disturbo d’ansia. Da un’indagine condotta alla fine del 2020 dall’ospedale pediatrico Gaslini di Genova, durante i lockdown si sono verificati “sintomi di regressione nel 65% di bambini di età minore di 6 anni e nel 71% di quelli di età maggiore di 6 anni (fino a 18)”.
… al Corpo
Dal cervello al fisico: bambini senza più riflessi, che cadono di continuo, inciampano, scivolano, che affollano ultimamente i pronto soccorso presentando fratture complesse quasi inspiegabili. Ma la spiegazione c’è: non sanno più cadere. “La mancanza di attività sportiva, dovuta di recente anche al lockdown e alle quarantene e l’uso spropositato dei dispositivi elettronici hanno fatto perdere la capacità di reazione“: lo spiega Pasquale Guida, direttore di Ortopedia e traumatologia del Santobono e vicepresidente della Società italiana di ortopedia e traumatologia pediatrica.
I lunghi mesi di immobilità hanno impedito ai bambini di conservare il cosiddetto “riflesso del paracadute”, quel comportamento automatico di protezione che l’essere umano mette in atto allungando le braccia quando si perde l’equilibrio e si cade in avanti. Un meccanismo che ci consente di attutire il colpo ed evitare fratture anche complesse.
I periodi trascorsi al chiuso, incollati ai tablet, senza poter giocare e confrontarsi con gli ostacoli dell’ambiente esterno, hanno influito in modo drammatico sui riflessi dei piccoli. E ora i pronto soccorso sono assediati da bimbi con le gambe rotte, e sempre più in sovrappeso. Sì, perché il peggioramento delle abitudini alimentari e la riduzione dell’attività fisica hanno portato al raddoppio (e oltre) dell’indice di massa corporea nei più giovani. Lo attesta uno studio dei Cdc Usa (Centri per il controllo delle malattie), condotto nell’estate del 2021 su oltre 432mila bambini e ragazzi tra 2 e 19 anni. Mentre arriva dall’Inghilterra l’allarme degli optometristi membri del College of optometrists: tra gli altri regalini delle restrizioni, ecco che spuntano i problemi alla vista dei più piccoli, con i casi di miopia in età precoce triplicati nell’ultimo anno e mezzo.
Danni irreparabili per i Bambini?
Se l’idea di un esercito di bambini goffi, grassi e ipovedenti non preoccupa abbastanza, vediamo cosa ci hanno riservato le restrizioni sul fronte dell’apprendimento. I dati sono particolamente allarmanti nella fascia da 0 a 3 anni, quella in cui si attraversano le fasi fondamentali dello sviluppo quali il saper parlare, l’instaurare i primi legami tra persone e l’apprendere le prime regole sociali.
Secondo una ricerca riportata dal Guardian nell’agosto 2021, vivere le prime fasi della vita in isolamento avrebbe seriamente ostacolato lo sviluppo cognitivo dei piccolissimi. I bambini nati durante i lockdown presentano infatti un QI decisamente più basso rispetto a quelli nati prima. Non solo: i quozienti intellettivi più bassi sono risultati appartenere ai bimbi di quei genitori ai quali le restrizioni avevano causato disturbi depressivi. La mancata esposizione al mondo esterno, l’assenza di interazioni con altri esseri umani all’infuori dei genitori e la convivenza forzata con adulti stressati e depressi, avrebbe quindi causato a questi bambini un danno grave, forse irrreparabile.
Articolo di Cristina Gauri