Giochi di potere, ricatti, omicidi, suicidi: storia del cuore nero della città degli angeli.
La verità solare raccontata dal caso Weinstein è una sola: i tempi cambiano, Hollywood no. Il cuore nero della città degli angeli è lo stesso di un secolo fa: Babylon. Nella Hollywood classica, quella che sfornava capolavori con ritmo di una catena di montaggio fordista, le vestaglie di Weinstein erano la norma, lo jus primae noctis una folkloristica usanza locale.
Va da sé che anche tra i tycoon ce n’erano di migliori e di peggiori. A confronto con Harry Cohn, temuto e odiatissimo onnipotente della Columbia, questo Weinstein fa la figura di un timido boy scout. Volgarissimo, tirannico e violento, amico di ragazzi tosti dalla pistola facile, Cohn considerava il suo divano la sede naturale dei provini delle aspiranti star. Piuttosto che elencare le innumerevoli che dovettero prestarsi, si fa prima a citare i pochi nomi che rifiutarono il balzello: Rita Hayworth, Kim Novak e Joan Crawford.
Il rifiuto della prima, mandò il Signore della Columbia su tutte le furie, ma la rossa messicana tirava su troppi dollari per formalizzarsi: continuarono a lavorare insieme per anni, detestandosi. Con Kim le cose andarono peggio. La star in ascesa non solo aveva rifiutato il Mogul, ma aveva un amante nero, il cantante Sammy Davis jr., fattaccio che ai tempi rischiava di toccare Cohn non solo nell’orgoglio, ma anche nel portafogli. Harry ricorse agli amichetti dalla mano pesante. I gangster ordinarono al cantante di lasciare immeditamente la bionda star, pena la perdita dell’unico occhio e delle gambe. Per non lasciare sospesi, Cohn impose anche a Sammy Davis di sposare una nera qualunque, ma entro 48 ore al massimo.
Il rifiuto più secco arrivò da Joan Crawford, quando l’inchiostro della firma in calce al contratto per la Columbia non si era ancora asciugato. Al Mogul che allungava le mani, la star replicò secca: “Tienilo nei pantaloni: domani sono a pranzo con tua moglie e i tuoi figli”. La Crawford, del resto, era a sua volta una delle dive più cattive, chiacchierate e temute di Hollywood. Notoriamente bisessuale e vorace, abituata a darci sotto di brutto con l’alcol e secondo la figlia adottiva, a maltrattare violentemente sia lei che il fratello, anche lui adottato.
Joan aveva anche il suo ghignante scheletro sessuale nell’armadio: “Velvet Lips”, un porno girato da giovanissima, probabilmente ancora minorenne. La Mgm spese un mucchio di soldi per impedire ai ricattatori di mettere in circolazione il film che avrebbe distrutto la carriera di una delle principali e più redditizie star. Alla fine si rivolse ai ragazzi di Cosa nostra che chiusero la trattativa in poche ore: ai ricattatori che chiedevano altri 100mila dollari, ne offirirono 25mila ma in cambio del negativo. In alternativa spiegarono che avrebbero comunque requisito il negativo, però dopo aver eliminato uno per uno i proprietari.
Ai tempi di Cohn e Crawford, la fama peccaminosa della fabbrica dei sogni era già universale. Era cominciato tutto, per un capriccio del caso, con un caso tanto clamoroso quanto infondato. Fatty Arbuckle oggi non se lo ricorda quasi più nessuno, anche perché le sue pelliccole furono bruciate al culmine della campagna di cui fu vittima. All’inizio degli anni Venti, invece, gareggiava con l’amico Chaplin quanto a popolarità e successo come attore comico, e aveva appena scoperto un altro comico promettente, Buster Keaton.
Fatty era un tipo timido e per nulla promiscuo. Nel 1921 fu però accusato di aver stuprato un’attrice, Virginia Rappe, provocandone la morte nel corso di un party in un hotel di San Francisco. La Rappe soffriva di cistite cronica aggravata dall’uso smodato del pessimo alcol in circolazione nel proibizionismo. Aveva abortito parecchie volte negli ultimi anni, quasi sempre mettendosi in mano a macellai e praticoni. I medici non riscontrarono tracce di rapporti sessuali, tuttavia una delle ospiti, oltre tutto nota come calunniatrice e ricattatrice, affermò di aver visto Arbuckle stuprare la donna con un blocco di ghiaccio ( che si trasformò nella campagna mediatica in bottiglia di Coca-Cola e poi di meno proletario champagne), provocando così la lacerazione fatale.
Il clamore fu enorme, lo scandalo travolse Hollywood, il procuratore Matthew Brady provò a fare del caso il trampolino di lancio verso l’elezione a governatore della California. Al primo processo la giuria, nonostante una larga maggioranza innocentista, non riuscì a mettersi d’accordo. Il secondo processo finì allo stesso modo. Al terzo giro, invece, la giuria impiegò sei minuti esatti prima di emettere una sentenza d’assoluzione corredata di dichiarazione che segnalava la grande ingiustizia di cui Fatty era stato vittima. L’onore e la libertà di Arbuckle erano salvi, la carriera e la salute no. Messo alle porte dagli studios, morì poco dopo.
In quei primi anni Venti, tirava davvero un’ariaccia sulla collina più stellare del mondo. Mabel Normand, una delle regine di Hollywood che aveva fatto coppia fissa sullo schermo sia con Fatty che con Chaplin, si trovò impelagata in un delitto. Il regista Desmond Taylor, suo devoto innamorato, stava cercando di tirarla fuori dalla cocaina e di fronte all continue ricadute, si era deciso a denunciare gli spacciatori che la rifornivano. Finì ammazzato, il primo febbraio 1922, subito dopo essersi incontrato con il procuratore. Mabel la prese malissimo, ma un’altra faccenda altrettanto cupa l’attendeva di lì a poco.
L’attrice passò la notte di capodanno 1924 con l’amica Edna Purviance, altra superstar, spesso interprete dei film di Chaplin, e il petroliere Courtland S. Dines, allora amante di Edna. Alle 4 del mattino l’autista di Mabel salì nell’appartamento per portare a casa l’attrice. Trovò i tre completamente ubriachi e cosa sia avvenuto dopo non si è mai saputo con chiarezza. La versione ufficiale è che l’autista, per motivi ignoti, sparò tre volte al nababbo. Le due attrici erano in bagno, distratte, in blac-kout. Comunque non ricordavano. Alla fine se la cavarono tutti, persino il ferito sopravvisse. Per la carriera di Mabel ed Edna, i cui film furono addirittura messi al bando in parecchie città, invece arrivò in anticipo una fine che comunque le aspettava dietro l’angolo con l’avvento del sonoro.
Quella rivoluzione cambiò molto ad Hollywood, ma non le pessime abitudini. Sesso, morti violente e sospetti mai sopiti, continuarono a far baldoria insieme. Nel 1958 Johnny Stompanato, gangster e uomo di mano di Mickey Cohen sulla cui prestanza leggendaria ancora si favoleggia, fu ammazzato con un coltellaccio da Cheryl Crane, figlia appena quattordicenne della diva Lana Turner, amante del tipaccio. Il dubbio che a vibrare la stoccata mortale fosse stata la mamma e non la figlia, fiorì subito. Non è mai stato provato, ma neppure è mai appassito.
Johnny Stomp è noto ai lettori di James Ellroy, fa capolino spesso nei suoi libri come comparsa. A Spade Cooley, musicista country che aveva sfondato anche in tv e sullo schermo, il maestro del noir moderno ha invece dedicato un lungo racconto, oltre a fargli fare da comparsa in qualche romanzo. Spade era un tipo geloso, paranoide e fumantino. Quando si convinse che la moglie lo tradiva la picchiò per ore, fino ad ammazzarla. Era il 1961 e i fans non si scomposero. Organizzarono una lobby numerosa e potente, e tali furono le pressioni sul governatore della Californi, Ronald Reagan che Ronnie si convinse. Nel ’69 concesse la grazia. A Cooley il bel successo dei suoi fans servì a ben poco, morì d’infarto subito dopo la scarcerazione.
Se c’è una parola che nel lato oscuro della città dorata tiene banco quanto Murder, quella è Rape, stupro. Fatty fu solo il primo. Nel 1942 fu il turno di Errol Flynn, il più romantico tra gli eroi romantici dello schermo. Due accuse di stupro, da parte di due ragazze diverse e in momenti diversi. Ma i tempi erano quello che erano. Il processo passò al contropelo la moralità delle accusatrici, spulciò le loro relazioni, spuntò fuori addirittura un aborto. L’eroe fu assolto.
Nel ’77 l’accusato fu il regista Roman Polansky, per lo stupro di una tredicenne. Il grande cineasta ha sempre affermato che la ragazza era consenziente, ma sull’età non c’era molto da negare. Il caso si trascina da allora, tra arresti e richieste di estradizione. Non è riuscita a chiuderlo neppure la vittima, Samantha Geier, che nell’agosto scorso ha chiesto formalmente l’archiviazione del caso. Il giudice ha respinto la richiesta.
Tra gli ultimi a cadere nella trappola del sesso è stato Rob Lowe, divo adolescente degli anni ’80. Durante la convention democratica del 1988 ad Atlanta, ebbe l’imprudenza di registrare un video sexy con una sedicenne, età legale per fare sesso con un adulto in Georgia, ma non per girare video di quel tipo. Col tempo Lowe, stroncato dallo scandalo, ha recuperato qualche posizione, ma nel complesso è entrato a pieno diritto nel folto gruppo di quelli che hanno pagato con la carriera gli eccessi sessuali. Esempi tra i tantissimi possibili. Gocce nell’oceano della Hollywood Babylon. Harvey Weinstein è in buona, anzi ottima compagnia.
Fonte: http://ildubbio.news/ildubbio/2017/10/17/hollwyood-la-fabbrica-degli-incubi/