di Andrea Alessandrino
Lo smartphone: un tempo oggetto del desiderio, oggi imprescindibile compagno delle nostre giornate, utensile fondamentale per la quotidianità del singolo.
Lo smartphone è nel mondo delle cose che ci circondano e che rendono la nostra vita conformata a quelle che sono le nostre abitudini di vita, l’oggetto-compagno-amico dal quale per nessuna ragione al mondo penseremmo di separarci.
Nasce da questa esigenza identitaria e sociale, un’inevitabile smartphone-dipendenza. Gli esperti parlano di “egopower”, di una supremazia dell’io sopra qualsiasi cosa, un sostituto più sicuro e affidabile (l’io) per far fronte alla mancanza di punti di riferimento certi e legati ad una tradizione, ormai naufragata sotto i colpi del mito della globalizzazione e oggi malinconicamente ricordata.
Sotto il moltiplicarsi di sempre più numerosi e tecnologicamente stupefacenti device, gli italiani si sono fatti volentieri trascinare in una realtà virtuale, in cui l’ego ha potuto finalmente imperare su tutto il resto, lasciandosi alle spalle le incertezze di un presente indecifrabile. Il progetto «Il nuovo immaginario collettivo degli italiani» di Conad, confluito poi nella ricerca «Miti dei consumi, consumo dei miti» realizzata dal Censis, offre un quadro di un popolo alla ricerca compulsiva di una ragion d’essere e nel contempo pragmatico sul presente e l’immediato futuro.
Per comprendere la personalità degli italiani basta partire dai numeri: il 72,5% è un abitante dei social network, e tra questa folta platea è possibile distinguere tre categorie distinte di utenti, ovvero i compulsivi, 9,7 milioni di persone impegnate ogni giorno a pubblicare messaggi, foto e video con il fine di mostrare ad amici e conoscenti social, quello che fanno o solo dichiarando il proprio pensiero; a ruota ci sono i pragmatici, poco più di 12 milioni di persone, che usano i social per mantenere attivi e frequenti i propri ambiti e insiemi di relazioni amicali; in ultimo si trovano gli “spettatori”, la categoria più numerosa, oltre 13 milioni di utenti che il Censis definisce “fruitori passivi”, ossia “lurker”.
Costoro non fanno altro che leggere post, guardare video e foto di amici e sconosciuti, godere insomma della vita degli altri. Le strane e spesso patologiche abitudini di “vita” sui social, sono chiaramente contraddistinte dalle diverse caratteristiche generazionali a cui gli utenti appartengono: i compulsivi sono quasi il 30% nella fascia d’età tra i 18 e i 34enni, percentuale che scende al 21,3% tra i 35-64enni; i pragmatici sono invece oltre il 31% dei 18-34enni, il 28,4% dei 35-64enni e solo il 10% degli over 65. Gli spettatori, infine, sono più numerosi nella fascia d’età che va dai 35 ai 64 anni, per scendere al 25,6% dei giovani e al 18,7% tra gli anziani.
Abitudini diverse, usi e costumi che cambiano a seconda dell’età, ma anche delle caratteristiche sociali e culturali a cui si appartiene. Gli effetti a breve e medio termine, portano inevitabilmente a risultanze prevedibili di un uso e di un abuso dei social a tinte paranoiche, un’utenza formata da identità caratterizzate da un ego sovrano e assoluto sempre online 24 ore su 24.
Perché allora affannarsi alla ricerca del successo con i mezzi tradizionali, quando invece si potrebbe spiccare il volo molto più rapidamente affidandosi agli smartphone e all’uso sapiente dei selfie? Il successo appare alla portata di chiunque abbia sufficiente incoscienza nella tirannia dei like e sappia sapientemente crearsi il giusto seguito di follower. La strada verso la celebrità, seppur effimera, passa per forza di cose dai social, vetrina per una popolarità condivisa e istantanea frutto di un’accurata media strategy alla portata delle masse.
Articolo di Andrea Alessandrino