di John Pilger – traduzione di Cristina Bassi
Perché così tanto giornalismo si è arreso alla propaganda? Perché censura e distorsione sono diventate una pratica standard?
Perché la BBC è cosi spesso portavoce di un potere rapace? Perché il New York Times e il Washington Post ingannano i loro lettori? Perché ai giovani giornalisti non viene insegnato a comprendere le finalità dei media e a sfidare le affermazioni eclatanti e le basse intenzioni di una realtà fasulla?
E perché a loro non si insegna che l’essenza di gran parte di ciò che definiamo media mainstream non è informazione, ma potere?
Queste sono domande urgenti. Il mondo si trova di fronte all’eventualità di una grande guerra, forse addirittura nucleare, con gli Stati Uniti chiaramente determinati ad isolare e provocare la Russia e poi la Cina. Questa verità viene capovolta e messa sottosopra dai giornalisti, inclusi quelli che promossero le menzogne che portarono al bagno di sangue in Iraq, nel 2003.
I tempi in cui viviamo sono così pericolosi e distorti nella pubblica percezione, che la propaganda non è più, come Edward Bernays la definì, un “governo invisibile”, ma è il governo stesso, che governa direttamente senza timore di essere contraddetto; il suo scopo principale è conquistare noi, il nostro senso del mondo, la nostra capacità di separare la verità dalle menzogne.
L’era dell’informazione è in realtà un’era mediatica. Abbiamo guerre mediatiche; censura mediatica; demonizzazione mediatica; punizione mediatica; deviazioni mediatiche: una surreale linea di assemblaggio di obbedienti luoghi comuni e false supposizioni.
Questo potere di creare una nuova “realtà” è in corso da lungo tempo. Quarantacinque anni fa, un libro intitolato “The Greening of America” fece scalpore. La copertina riportava queste parole: “E’ in arrivo una rivoluzione. Non sarà come le rivoluzioni del passato. Avrà origine dall’individuo…”
In quel periodo facevo il corrispondente negli Stati Uniti, e mi ricordo che l’autore, da un giorno all’altro, divenne un guru. Era un giovane accademico dell’Università di Yale: Charles Reich. Il suo messaggio era che il dire la verità e l’azione politica avevano fallito e che solo “cultura” e introspezione avrebbero potuto cambiare il mondo.
Spinto dalle forze del profitto, nel giro di pochi anni l’ideologia del “me-stesso” (me-ismo) avrebbe sopraffatto il nostro senso di azione comune, di giustizia sociale e di internazionalismo. Si separarono classe, genere e razza. Il personale divenne politico e i media divennero il messaggio. Sulla scia della guerra fredda, l’invezione di nuove “minacce” completò il disorientamento politico di coloro che, 20 anni prima, avrebbero formato una veemente opposizione.
Nel 2003, feci un’intervista a Washington con Charles Lewis, l’illustre giornalista investigativo americano. Discutemmo sull’invasione dell’Iraq pochi mesi prima che avvenisse.
Gli chiesi: “Cosa sarebbe successo se i media più liberi del mondo avessero seriamente sfidato George Bush e Donald Rumsfeld, indagando sulle loro affermazioni, anziché veicolare ciò che poi si rivelò essere rozza propaganda?”. Rispose che, se noi giornalisti avessimo fatto il nostro lavoro, “ci sarebbe stata una grandissima probabilità che non saremmo andati a fare la guerra in Iraq.”
Questa shockante affermazione, che fu anche sostenuta da altri giornalisti famosi a cui feci la stessa domanda. Dan Rather, ex di CBS, mi diede la stessa risposta. David Rose dell’Observer e altri giornalisti di lunga esperienza e produttori della BBC, che vollero restare anonimi, mi diedero la stessa risposta.
In altre parole, se i giornalisti avessero fatto il loro mestiere, se avessero indagato e messo in discussione la propaganda invece di amplificarla, centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini potrebbero essere vivi oggi; milioni di persone non avrebbero dovuto abbandonare le loro case; la guerra settaria tra sunniti e sciiti avrebbe potuto non essere scatenata e il famigerato Stato islamico forse ora non esisterebbe.
Persino ora, nonostante i milioni di persone che sono scesi in piazza in segno di protesta, la più parte del pubblico nei paesi occidentali ha una scarsissima idea della vastità del crimine commesso dai nostri governi in Iraq. Ancora meno persone sono consapevoli del fatto che, nei 12 anni prima dell’invasione, i governi statunitense e britannico avevano messo in moto un olocausto, negando alla popolazione civile dell’Iraq i mezzi per la sopravvivenza.
Queste sono parole del funzionario britannico responsabile per le sanzioni contro l’Iraq negli anni ’90: un assedio medievale che ha causato la morte di mezzo milione di bambini sotto i cinque anni, come riferito dall’Unicef. Il nome del funzionario è Carne Ross. All’Ufficio Esteri di Londra era conosciuto come “Mr Iraq”. Oggi ha deciso di dire la verità su come i governi ingannano e su come i giornalisti volontariamente si prestano a diffondere l’inganno. “Davamo in pasto ai giornalisti presunti fatti di intelligence edulcorata”, mi ha riferito, “oppure li tenevamo fuori.”
Il “whistelblower” (che spiffera la notizia) principale, durante questo terribile periodo di silenzio è stato Denis Halliday. Allora Assistente Segretario Generale delle Nazioni Unite e alto funzionario delle Nazioni Unite in Iraq, Halliday si dimise piuttosto di attuare politiche da lui stesso ritenute da genocidio. Ha stimato che le sanzioni uccisero più di un milione di iracheni.
Cosa successe poi ad Halliday è piuttosto istruttivo. Quando le sue affermazioni non venivano ritoccate, veniva diffamato. Durante il programma “Newsnight” della BBC, il presentatore Jeremy Paxman gli gridò: “Non sei forse solo un difensore di Saddam Hussein?” The Guardian ha recentemente descritto questo, come uno dei “momenti memorabili” di Paxman. Paxman ha siglato recentemente una trattativa da 1.000.000 di sterline per un libro.
Le ancelle della soppressione (dei fatti) hanno fatto bene il loro lavoro. Consideriamo gli effetti. Nel 2013, un sondaggio di ComRes, rivelò che la maggioranza del pubblico britannico credeva che il bilancio delle vittime in Iraq fosse 10.000: una piccola frazione della verità. La scia di sangue che va dall’Iraq a Londra è stata quasi del tutto ripulita.
Rupert Murdoch si dice sia il padrino della mafia mediatica e nessuno dovrebbe dubitare dello strapotere dei suoi giornali – 127 in tutto – con una tiratura congiunta di 40 milioni, e della sua rete, la Fox. Ma l’influenza dell’impero di Murdoch non supera di riflesso i media più ampi.
La propaganda più efficace non si trova su The Sun o su Fox News, piuttosto sotto un’ aura “liberale”. Quando il New York Times pubblicò le affermazioni sul fatto che Saddam Hussein avesse armi di distruzione di massa, si credette a questa falsa evidenza, appunto perché non provenivano da Fox News, ma dal New York Times.
Lo stesso vale per il Washington Post e per il Guardian, entrambi i quali hanno svolto un ruolo fondamentale nel condizionare i loro lettori ad accettare una nuova e pericolosa guerra fredda. Tutti e tre i giornali liberali, hanno travisato gli eventi in Ucraina, presentandoli come atto malvagio da parte della Russia, quando, in realtà, il colpo di stato guidato dai fascisti in Ucraina, è stato un lavoro degli Stati Uniti, aiutati dalla Germania e dalla Nato.
Questo capovolgere la realtà, è fatto così pervasivo, che l’accerchiamento militare di Washington e l’intimidazione della Russia non sono neanche presi in considerazione. Non fanno neppure notizia, ma sono soppressi dietro una campagna diffamatoria e di paura, come quella con cui sono cresciuto durante la prima guerra fredda. Ancora una volta, l’impero del male è venuto a prenderci, guidato da un altro Stalin o, perversamente, da un nuovo Hitler. Dai un nome al tuo demone e sguinzaglialo.
La soppressione della verità sui fatti in Ucraina, è uno dei più completi blackout di notizie che io ricordi. Il più grande potenziamento militare occidentale nel Caucaso e in Europa orientale, dalla seconda guerra mondiale, è stato occultato. Gli aiuti segreti di Washington a Kiev e alle sue brigate neonaziste, responsabili di crimini di guerra contro la popolazione dell’Ucraina orientale, è occultato. Le prove che contraddicono la propaganda che sia la Russia ad essere responsabile per l’abbattimento di un aereo di linea della Malesia, sono tenute nascoste.
E, per di più, sono proprio i media che si presumono liberali, ad essere i censori. Molti degli addetti nei media occidentali hanno lavorato alacremente per presentare la popolazione di etnia russa dell’Ucraina, come straniera in patria propria, quasi mai come ucraini alla ricerca di una federazione all’interno dell’Ucraina e come cittadini ucraini che resistono ad un colpo di stato orchestrato da stranieri contro il governo da loro eletto.
Quello che il presidente russo ha da dire è irrilevante; non è che un “cattivo” da pantomima teatrale, che può essere abusato impunemente. Un generale americano che guida la Nato e che sembra essere uscito direttamente dal film “Il Dottor Stranamore” – un certo gen. Breedlove – sostiene abitualmente la tesi delle invasioni russe, senza uno straccio di prova visiva. La sua imitazione del generale Jack D. Ripper del film di Stanley Kubrick, è perfetta.
Quarantamila russi stavano ammassandosi al confine, secondo Breedlove. È bastata questa affermazione per il New York Times, il Washington Post e The Observer – quest’ultimo si era già distinto in precedenza con menzogne e invenzioni che avevano sostenuto l’invasione di Blair in Iraq, come il suo ex reporter, David Rose, ha poi rivelato. Si respira quasi lo spirito gioioso di una riunione di classe. I suonatori di tamburi del Washington Post sono gli stessi editorialisti che dichiararono che l’esistenza di armi di distruzione di massa di Saddam, è un “dato di fatto”.
Lo scrittore investigativo americano Robert Parry scrisse: “Se vi stupite su come il mondo possa finire dentro una terza guerra mondiale, così come ha fatto nella guerra mondiale di un secolo fa – tutto quello che dovete fare è guardare alla pazzia che praticamente ha avvolto l’intera struttura politica e mediatica degli Stati Uniti, sulla questione Ucraina, dove una falsa narrativa di colletti bianchi opposta a quelli neri, ha preso piede dall’inizio e si rende impermeabile a fatti o a alla ragione”. Parry, il giornalista che ha rivelato lo scandalo Iran-Contra, è uno dei pochi che indaga sul ruolo centrale dei mezzi di comunicazione in questo “gioco dei polli”, come il Ministro degli Esteri russo lo ha chiamato. Ma si tratta veramente di un gioco? Mentre scrivo, il Congresso degli Stati Uniti sta votando la Risoluzione 758, che, in poche parole, dice: “Prepariamoci per la guerra contro la Russia.”
Nel 19° secolo, lo scrittore Alexander Herzen descrisse il liberalismo laico come “la religione finale, sebbene la sua chiesa non sia dell’altro mondo, ma di questo”. Oggi, questo diritto divino è molto più violento e pericoloso di ogni altra cosa che il mondo musulmano possa escogitare, anche se forse il suo più grande trionfo è l’illusione di una informazione libera e aperta.
Dai notiziari, interi paesi sono fatti sparire. L’Arabia Saudita, la fonte di estremismo e terrore sostenuto dall’occidente, non fa storia, tranne quando spinge verso il basso il prezzo del petrolio. Lo Yemen ha subito dodici anni di attacchi di droni americani. Chi lo sa? A chi importa?
Nel 2009, l’Università del West of England pubblicò i risultati di uno studio decennale sulla copertura mediatica della BBC, per quanto riguardava il Venezuela. Di 304 reportage trasmessi, solo tre parlarono delle politiche positive introdotte dal governo di Hugo Chavez. Il più grande programma di alfabetizzazione nella storia umana, ricevette appena un accenno.
In Europa e negli Stati Uniti, milioni di lettori e spettatori non sanno quasi nulla dei notevoli, vivificanti cambiamenti avvenuti in America Latina, molti dei quali ispirati da Chavez. Come per la BBC, le inchieste del New York Times, del Washington Post, del Guardian e del resto dei media occidentali rispettabili, erano notoriamente in malafede. Chavez venne deriso persino sul letto di morte. Come viene spiegato questo, mi chiedo, nelle scuole di giornalismo?
Perché milioni di persone in Gran Bretagna sono convinte che una punizione collettiva chiamata “austerity”, è necessaria? A seguito del crollo economico del 2008, un sistema marcio è venuto alla luce. Per una frazione di secondo le banche sono state messe in fila come truffatori con obblighi verso il pubblico che avevano tradito. Ma nel giro di pochi mesi – a parte alcune pietre gettate contro eccessivi “bonus” aziendali – il messaggio cambiò. Le foto segnaletiche dei banchieri colpevoli sono sparite dai giornali e qualcosa chiamato “austerity” ha iniziato a pesare su milioni di persone normali. C’è mai stato un gioco di prestigio più palese?
Oggi, molti dei presupposti della vita della “civiltà” inglese, in Gran Bretagna sono in fase di smantellamento, questo per ripagare un debito fraudolento , ovvero il debito di truffatori. I tagli dell'”austerity” si dice che siano di 83 miliardi di sterline. Questo è quasi esattamente l’importo delle tasse non pagate dalle stesse banche e da multinazionali come Amazon e Murdoch News UK. Inoltre, le banche truffaldine ricevono una sovvenzione annua di 100 miliardi di sterline, un’assicurazione gratuita e garanzie – una cifra che potrebbe finanziare l’intero servizio sanitario nazionale (NHS).
La crisi economica è propaganda pura. Politiche estreme ora governano la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, gran parte dell’Europa, il Canada e l’Australia. Chi difende la maggioranza della gente? Chi ci racconta la loro storia? Chi ci dice le cose come stanno? Non è questo ciò che i giornalisti dovrebbero fare?
Nel 1977, Carl Bernstein, famoso per l’indagine sul caso “Watergate”, rivelò che più di 400 giornalisti e direttori di notiziari lavoravano per la CIA. Tra questi, giornalisti del New York Times e di reti televisive. Nel 1991, Richard Norton Taylor del Guardian rivelò qualcosa di simile in questo paese (la Gran Bretagna, appunto n.d.t.).
Oggi niente di tutto questo è necessario. Dubito che qualcuno abbia pagato il Washington Post e molti altri media per accusare Edward Snowden di fiancheggiare il terrorismo. Dubito che qualcuno paghi chi di routine infanga Julian Assange – anche se ci sono molte altre possibili ricompense. Mi è chiaro che il motivo principale per cui Assange ha attirato tutto quel veleno, quelle ripicche e gelosie, è perché WikiLeaks ha buttato giù la facciata di una élite politica corrotta, sostenuta dai giornalisti. Nel proclamare un’era straordinaria di rilevazioni, Assange si è fatto nemici illuminando e svergognando i guardiani dei media, non da ultimo il giornale che pubblicò e fece proprio il grande scoop di Assange, che non solo divenne un bersaglio, ma anche una gallina dalle uova d’oro.
Si son fatti affari lucrativi per libri e film hollywoodiani, si sono lanciate carriere mediatiche o sono partite sulla pelle di Wikileaks e del suo fondatore. La gente ha fatto un sacco di soldi, mentre WikiLeaks è in lotta per la sopravvivenza.
Niente di tutto ciò è stato ricordato a Stoccolma il 1° dicembre scorso [2014], quando il direttore del Guardian, Alan Rusbridger, ha condiviso con Edward Snowden il “Right Livelihood Award”, noto come premio Nobel Alternativo per la pace. La cosa più shockante in questo evento, è stata che Assange e WikiLeaks sono stati cancellati. Non esistevano, erano non-persone. Nessuno parlò per l’uomo che fece da pioniere alla “denuncia spifferata” in forma digitale. Così è stato consegnando al Guardian uno dei più grandi scoop della storia. Sia detto che è stato Assange, con il suo team di WikiLeaks che con efficacia e brillantemente ha salvato Edward Snowden in Hong Kong e lo ha messo al sicuro. Ma su questo non una parola.
Ma ciò che ha reso questa censura per omissione così ironicamente beffarda e scandalosa, che la cerimonia si è svolta nel Parlamento svedese – il cui vile silenzio sul caso Assange ha cospirato con il grottesco aborto giudiziario di Stoccolma. “Quando la verità è sostituita dal silenzio”, diceva il dissidente sovietico Yevtushenko, “il silenzio è una menzogna.” È questo tipo di silenzio che noi giornalisti dobbiamo rompere. Dobbiamo guardare nello specchio. Dobbiamo far render conto ai media irresponsabili che servono il potere ed una psicosi che minaccia una guerra mondiale.
Nel 18° secolo, Edmund Burke descrisse il ruolo della stampa come “Quarto Stato” (nel senso di Ceto Sociale,ndt) che controlla il potente. È mai stato vero? Se… certamente non più oggidì. Ciò di cui abbiamo bisogno è di un Quinto Stato: un giornalismo che monitori, smonti e controbatta la propaganda e che insegni ai giovani ad essere agenti per la gente, non per il potere. Abbiamo bisogno di ciò che i russi chiamarono Perestroika: una insurrezione dalla conoscenza soggiogata. Io lo chiamerei “vero giornalismo.”
Sono trascorsi 100 anni dalla prima guerra mondiale. A quei tempi i reporter vennero premiati e fatti cavalieri per il loro silenzio e la loro collusione. Al culmine della strage, il primo ministro britannico David Lloyd George confidò a C.P. Scott, direttore del Manchester Guardian: “Se la gente sapesse [la verità] la guerra verrebbe interrotta domani, ma ovviamente non sa, e non può sapere.”
È ora che la sappiano.
Articolo di John Pilger
Traduzione Cristina Bassi per The Living Spirits
Fonte originale: http://johnpilger.com/articles/war-by-media-and-the-triumph-of-propaganda