di Dario Lucisano
Meroledì 16 il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti è apparso in conferenza stampa con il viceministro Maurizio Leo per presentare i contenuti della nuova legge di bilancio e del documento programmatico di bilancio, giunto davanti alla Commissione Europea.
Chiuso il siparietto derivato dalla rottura di un bicchiere, il ministro ha iniziato subito a elencare molto sommariamente i punti fondamentali della nuova manovra, annunciando trionfalmente di aver raggiunto un accordo con l’Unione Europea per un nuovo “piano di risanamento del deficit”, della durata di sette anni.
Questo piano è in linea con il bilancio strutturale, finanziato principalmente da un contributo di circa 3,5 miliardi di euro proveniente da banche e assicurazioni, oltre a tagli alla spesa pubblica. Uniche eccezioni ai tagli, i ministeri di sanità e difesa, quest’ultima richiesta dalla NATO, dall’UE e dal “Rapporto Draghi”.
In sede di conferenza stampa, il ministro Giorgetti è stato abbastanza parco nel fornire informazioni. “Il piano di risanamento per l’estensione a 7 anni” approvato dall’UE prevede interventi coerenti con la legge di bilancio vera e propria, che sarà discussa la prossima settimana, presumibilmente lunedì 21 ottobre. “I sacrifici li faranno le banche e le assicurazioni”, ha rassicurato Giorgetti, per poi smentirsi subito dopo: a dovere “sacrificarsi”, infatti, saranno anche “le strutture dei ministeri, che sono chiamate a un importante contributo in termini di taglio”, pari a “una riduzione media del 5% delle spese correnti delle amministrazioni dello Stato”. Ai tagli ministeriali, inoltre, si affiancheranno anche quelli agli enti, ai soggetti, e alle fondazioni finanziate dal denaro pubblico, che “saranno chiamate a rispettare alcune regole elementari di buona finanza”, razionalizzando il denaro.
Insomma, dietro ai giri di parole e all’elenco delle grandi imprese del governo, sembrerebbe nascondersi una imposta politica di austerità, ribattezzata con il termine “sacrificio”. L’annuncio di un accordo relativo al piano di risanamento del deficit era atteso da quest’estate, dopo che l’Unione Europea aveva avviato una procedura di infrazione contro l’Italia per disavanzo eccessivo basato sul deficit.
Poco dopo l’annuncio, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha pubblicato un rapporto in cui spiega dettagliatamente che, per adeguarsi agli “aggiustamenti” del nuovo patto di stabilità, l’Italia dovrà portare avanti un taglio alle spese pubbliche pari a circa 10,25-12,3 miliardi di euro all’anno per sette anni.
A essere escluso dai tagli, sotto richiesta degli alleati e su caldo consiglio di Mario Draghi, è il settore della difesa, su cui in effetti l’Italia non sembra volere essere parsimoniosa. Durante il suo mandato, il governo Meloni ha, infatti, aumentato la spesa per la difesa, nonché per l’acquisto di aerei e carri armati. In generale, negli ultimi anni il Paese ha aumentato l’esportazione di armamenti, così come la spesa militare, che nell’ultimo decennio risulta più che raddoppiata.
Questo aumento di investimenti, produzione, esportazione, e acquisto nel settore bellico risulta pienamente in linea con le richieste della NATO, dell’UE, e di Draghi. L’Alleanza Atlantica ha infatti suggerito agli Stati di arrivare a spendere più del 2% del PIL nel settore militare. L’Unione Europea, inoltre, si sta muovendo per la costruzione di un piano di difesa comune, mentre il “Rapporto Draghi” consiglia molto caldamente di riservare più fondi e meno burocrazia al settore delle armi.
Articolo di Dario Lucisano