di Alessandro Ferretti
La pulizia etnica israeliana al nord di Gaza entra nella fase decisiva, mentre sui sopravvissuti incombe la morte per inalazione di amianto.
La foto raffigura una gigantesca esplosione verificatasi nel campo profughi di Jabalia, o perlomeno in ciò che ne rimane dopo oltre un mese di bombardamenti violentissimi e ininterrotti.
In quelle case quasi completamente accerchiate dall’esercito israeliano continuano a cercare di sopravvivere migliaia di persone, abbandonate dal mondo intero al loro destino di morte o deportazione.
Ma non sono solo le bombe, la fame, la sete, il freddo e le malattie ad uccidere i palestinesi a Gaza. Anche se riuscissero a fuggire da quell’inferno, per molti di loro la sorte è comunque segnata: in quella enorme nuvola di fumo e polvere è infatti nascosto un pericolo mortale e ineludibile, ovvero l’amianto.
Secondo un articolo di Al Jazeera, tradotto dal Csoa Gabrio e che trovate a questo link, moltissimi degli edifici fatti esplodere dalle bombe e dalle demolizioni israeliane contengono sostanze tossiche e in particolare amianto, anche del tipo più pericoloso.
Le esplosioni lo polverizzano trasformandolo in un killer paziente e silenzioso, che farà strage dei sopravvissuti per i decenni a venire. Per avere un’idea della pericolosità di rimanere esposti alle polveri, basti pensare che su 132.000 persone (tra soccorritori e sopravvissuti) coinvolte nel crollo delle Torri Gemelle, l’11 settembre 2001, ben 39.000 hanno sviluppato tumori di vario tipo e altre decine di migliaia hanno malattie respiratorie spesso invalidanti.
Comunque, la pulizia etnica del nord sta arrivando alla stretta finale: l’IDF ha affermato (falsamente) che non ci sono più civili nel nord di Gaza, e che quindi non c’è alcun motivo di lasciar passare camion di aiuti umanitari. Quindi, per chi rimane, l’alternativa è secca: morire per le bombe o morire di inedia.
Ormai anche molti dei giornalisti che si trovavano nel nord della Striscia sono stati costretti ad evacuare. Rimane ancora Anas Al-Sharif, uno degli ultimi testimoni sul campo della pulizia etnica, ma proprio oggi Instagram ha pensato bene di cancellare il suo account, che aveva oltre 1.200.000 followers e più un miliardo di visualizzazioni.
La strage al nord sta per entrare nella fase finale, quella più atroce: Israele non vuole testimoni, Meta prontamente esegue. Anas Al-Sharif ha aperto un nuovo profilo instagram ma non so quanto durerà e in generale quanto dureranno gli account che si esprimono contro il genocidio.
Articolo di Alessandro Ferretti