La ricerca ha dimostrato che le emozioni esercitano un’influenza diretta sul funzionamento delle cellule del corpo umano.
Nel ‘900 alcuni scienziati che collaboravano con l’esercito USA, svolsero una ricerca per verificare se il potere delle emozioni continuavano ad avere un effetto sulle cellule viventi, in particolare sul DNA, anche quando quelle cellule non facevano più parte dell’organismo umano.
Seguendo la linea di pensiero tradizionale, i tessuti, la pelle, gli organi o le ossa, una volta rimossi dal corpo umano, non dovrebbero avere più alcun collegamento con esso. Questo esperimento ci mostra invece come ciò che accade sia esattamente il contrario. In una ricerca pubblicata sul periodico Advances nel 1993, l’esercito americano riferisce di aver condotto esperimenti per stabilire con precisione il collegamento emozione/DNA dopo una separazione.
Durante la sperimentazione il campione di DNA è stato isolato e portato in una stanza differente, rispetto a quella in cui si trovava il volontario. Al soggetto sono stati mostrati filmati registrati, le cui immagini erano state concepite per suscitare diversi stati emotivi nel suo organismo (ad es. immagini di guerra e immagini comiche). L’idea era quella di far provare al soggetto una serie di emozioni vere in un breve lasso di tempo e mentre lui le provava, in un’altra stanza veniva misurato il tipo di risposta che dava il suo DNA.
Quando le emozioni del soggetto toccavano alti o bassi “picchi” emotivi, le sue cellule e il suo DNA producevano, nello stesso momento, una forte risposta elettrica. Sebbene il soggetto e il campione fossero stati collocati a varie decine di metri di distanza tra loro, il DNA si comportava come se si fosse trovato ancora fisicamente in contatto col corpo del soggetto. L’esercito aveva interrotto i propri esperimenti sul soggetto e sul suo DNA allo stadio di ricerca in cui entrambi si trovavano ancora all’interno dell’edificio ed erano ad una distanza reciproca di alcune decine di metri.
Dopo quegli esperimenti iniziali, il dott. Backster ne eseguì altri a distanze molto maggiori (500-600km). La misurazione dei tempi intercorrenti fra l’esperienza emotiva del soggetto e la risposta delle sue cellule era stata fatta per mezzo di un orologio atomico situato in Colorado.
In ciascuno degli esperimenti l’intervallo misurato tra le emozioni e la risposta delle cellule era pari a zero, l’effetto era simultaneo. Sia che le cellule fossero nella stessa stanza o separate da centinaia di km, i risultati erano gli stessi. Quando il soggetto aveva un’esperienza emotiva, il DNA reagiva come se in qualche modo fosse stato ancora unito al corpo fisico, perché se esiste un campo quantistico che unisce tutta la materia, allora tutto deve essere e deve restare collegato.
Le implicazioni di questo esperimento sono diverse. Se non si possono separare le persone dalle parti del loro corpo, questo forse significa che quando un organo viene trapiantato con successo in un altro essere umano, i due individui rimangono in qualche modo collegati tra loro?
Ogni giorno la maggior parte di noi viene a contatto con dozzine, talvolta centinaia di altre persone, e spesso si tratta di contatto fisico. Ogni volta che tocchiamo una persona, anche solo stringendole la mano, una traccia del DNA di quella persona rimane con noi nelle cellule epidermiche che la persona lascia dietro di sé. Contemporaneamente noi lasciamo alcune delle nostre a quella persona. Ciò significa che continuiamo a restare legati alle persone che tocchiamo, finché il DNA delle cellule che condividiamo è vivente? E se così fosse sino a che punto si spinge il nostro legame con loro?
La risposta alla prima domanda è affermativa: sembra che quel legame esista realmente. La sua qualità però sembra essere determinata dal nostro livello di consapevolezza sulla sua esistenza. Tutte queste possibilità illustrano la grandezza di ciò che l’esperimento ci dimostra. Se il donatore sta provando determinate emozioni a livello fisico e se il DNA risponde a tali emozioni, allora fra i due deve essere in atto uno scambio che permetta all’emozione di passare dall’uno all’altro. Oppure l’esperimento ci vuole dimostrare che le emozioni del donatore non avessero nemmeno bisogno di spostarsi. Potrebbe darsi che l’energia non abbia bisogno di spostarsi dal donatore a un luogo distante, per avere un effetto. Le emozioni di quella persona potrebbero già essere state presenti nel DNA e in qualunque altro luogo, nell’istante in cui sono state create.
Tratto dal libro: “Matrix Divina” di Gregg Braden
Fonte: http://www.umaniindivenire.com