“Dov’è la casa del mio amico?”
È la trama di un film del regista iraniano Abbas Kiarostami, un atto d’accusa contro l’educazione autoritaria e repressiva impartita da una società arcaica, a un’infanzia cui non è riconosciuto nemmeno il diritto di essere ascoltata.
Ahmad è un bambino che vive in uno sperduto paese dell’Iran. Il suo maestro è un inflessibile docente che mantiene la disciplina con eccessiva severità e che non ammette, soprattutto, errori e dimenticanze. Un giorno, a lezioni finite, Ahmad si accorge che il quaderno di un bambino spesso rimproverato dal maestro è finito per sbaglio nella sua cartella. Per evitargli l’ingiusta punizione, egli decide, allora, di riportarglielo.
Chiede il permesso alla mamma ma lei non ha tempo per dargli retta, presa com’è dalle faccende domestiche. Gli ordina, invece, di fare qualche commissione ed esige da lui che completi i suoi compiti prima di uscire a giocare.
Ma Ahmad non intende desistere e trova una scusa per fuggire alla ricerca della casa del suo amico. Di mezzo si mette anche il nonno che, vedendolo correre per strada, lo chiama e lo manda a comprargli le sigarette. Finalmente il ragazzo si incammina verso il villaggio del suo amico, ma quando vi giunge resta intrappolato nel dedalo di viottoli ed è impossibile orientarsi. Sul volto del bambino crescono la stanchezza e lo smarrimento.
Ahmad arriva a pochi metri dalla casa del suo amico. È già buio e lui è solo, guarda davanti a sé, in fondo al vicolo c’è la fine del suo viaggio, ma ecco che si sente abbaiare un cane. Ahmad si spaventa e decide di tornare indietro.
Una volta a casa salta la cena e si ritira a fare i compiti e pensando ancora all’amico, decide di farli per sé e per lui. Il giorno dopo consegna il quaderno a Mohamed, un attimo prima della correzione dei compiti. Il maestro non si accorge di nulla, sigla il compito di Mohamed ed esclama: “ben fatto!”. Una storia dalla trama semplice, quindi, come tutti i film di Kiarostami.
“Dov’è la casa del mio amico?” è ispirato ad una poesia di Sohrab Sepehri, citato nei titoli di testa. La poesia dice:
“Tu andrai in fondo a questo viale / che emergerà oltre l’adolescenza, / poi ti volterai verso il fiore della solitudine. / A due passi dal fiore, ti fermerai / ai piedi della fontana da dove sgorgano i miti della terra… Tu vedrai un bambino arrampicato in cima a un pino sottile, / desideroso di rapire la covata del nido della luce / e gli domanderai: dov’è la dimora dell’Amico?”.
“C’è una collina tra i due villaggi – dice Kiarostami – e sulla cima della collina un albero, che nella nostra letteratura è simbolo di amicizia; il continuo correre di Ahmad rappresenta le difficoltà per poterla raggiungere”.
Nel film si può notare anche l’utilizzo degli elementi architettonici, del cortile e dell’abitazione per sottolineare il regime di chiusura, fatto di obblighi e divieti, cui viene sottoposto Ahmad.
Centrale nel film è il rapporto tra il protagonista e gli anziani. A partire dalla nonna, che ripete all’infinito una serie di regole di comportamento di tipo formale, come quella di togliersi le scarpe prima di entrare in casa; proseguendo con i due vecchi incontrati a Posteh, che parlano dell’importanza, per un bambino, del rispetto della tradizione.
Da ricordare, ancora, la figura di un altro compagno di Ahmad, incontrato lungo la strada, costretto dai familiari a trasportare pesantissimi secchi pieni di latte. Nel film viene sottolineato il ruolo indiscutibile esercitato dalla tradizione all’interno della comunità e la totale subordinazione a cui i bambini e i giovani dovrebbero sottomettersi.
Un contorno povero, ma intensamente umano. Un Kiarostami, che fugge dallo stereotipo del cinema politico e polemico di altri registi arabi per dare una visione dell’infanzia iraniana che non condanna ma nemmeno assolve la sua società, dove i bambini e i vecchi, vagano, gli uni alla ricerca del futuro (in questo caso molto lontano ma anche molto vicino) e gli altri in cerca del passato, cui si aggrappano malinconicamente.
Elogio della solidarietà fra i ragazzi, il film è peraltro un atto d’accusa contro l’educazione autoritaria e repressiva impartita da una società arcaica a un’infanzia cui non è riconosciuto nemmeno il diritto di essere ascoltata.
Ed è importante sottolineare la strategia narrativa costante con cui si fa puntualmente slittare il momento dell’incontro tra i due protagonisti, rendendo Ahmad davvero troppo piccolo in confronto all’impresa che deve svolgere. Compiti apparentemente piccoli sono in realtà mete difficili da raggiungere per un bambino, compiti che però ne costruiscono il senso di responsabilità e di libera iniziativa.
Infine l’amico è molto di più che l’amico concreto, allude ad una ricerca più profonda. Il bambino non avrà mai una piena risposta alla domanda “Dov’è la dimora del mio amico?”, ma anche se una risposta definitiva e certa non c’è, continuare a cercare è la cosa importante. La ricerca è la cosa importante, è tensione verso la vita… raggiungere la meta è adagiarsi…
Il film è una parabola sul bisogno di comunicazione, sul desiderio di cambiare un ordine vecchio con un ordine nuovo.
Fonte: http://pensareinunaltraluce.blogspot.it/2011/11/dove-la-casa-del-mio-amico-di-abbas.html