di Francesco Lamendola
C’è da restare allibiti nel leggere il racconto fatto dal prete che, nella chiesa veneziana di San Zuan, ha assistito alla profanazione del Crocifisso, da parte di quattro donne islamiche velate, che ci hanno sputato addosso, racconto riportato a modo suo dal quotidiano Avvenire, sempre più ligio e prono alle direttive relativiste, moderniste e progressiste della Neochiesa bergogliana.
È tutto un fiorire di puntualizzazioni, distinguo, inviti a non generalizzare, a non allarmarsi troppo. Anche se veniamo a sapere che bisogna ripulire il Crocifisso per i continui sputi che riceve. Anche se venivamo a sapere che, spesso, degli islamici entrano in chiesa, stendono il tappeto e si mettono a pregare Allah, rivolti verso la Mecca; e che solo se alzano troppo la voce con le loro litanie, il parroco provvede a farli allontanare; se no, li lascia in pace, tranquilli: dopotutto, che male c’è? Anche se veniamo a sapere che, da tempo, islamici entrano in chiesa e si scattano delle foto davanti al Crocifisso, mostrandogli le corna e deridendolo; e che anche in tali casi i sacerdoti non ne fanno una tragedia, sì e no li invitano ad andarsene, ma non vanno oltre. Anche se veniamo a sapere che in diverse chiese veneziane, compresa la Basilica di San Marco (ma ci chiediamo in quante altre chiese d’Italia e, probabilmente, d’Europa) si presentano alla Comunione delle persone ”dai tratti orientali”, che sputano l’Ostia a terra, poi se ne vanno ridacchiando, come se nulla fosse.
Quello che più colpisce, in tutti questi casi, sono tre cose: primo, il fatto che non si tratti più di singoli e rari episodi, ma di eventi che si succedono con continuità, e che non risalgono a questi ultimi giorni, con l’incrudelire del terrorismo islamico, ma che sono incominciati ben prima; secondo, il fatto che il pubblico italiano non ne sapeva nulla, cioè che era stato tenuto all’oscuro dagli interessati e dai mezzi d’informazione, evidentemente per non generare psicosi o allarmismi; terzo, la volontà di minimizzare a tutti i costi, non solo da parte dei sacerdoti direttamente coinvolti da simili vicende, ma anche dei vescovi, della stampa e del papa, tutti concordi nel negare che vi sia motivo di speciali preoccupazioni, anzi, perfino decisi a negare che esista un problema islamico, che esista un Fo (o, se esiste, convinti che equivalga al fondamentalismo cattolico), che esista una violenza islamica (visto che anche da noi ci sono dei mariti che ammazzano le mogli o le suocere: ragionamento che non fa una grinza, senza dubbio… di Papa Bergoglio).
Dal che si deduce che la Chiesa è non solo cieca davanti al pericolo, ma intimidita: si sforza di minimizzare per la gran paura che ha, e per la totale mancanza di idee, di volontà di reagire, di capacità di farsi l’autocritica per certi suoi comportamenti degli ultimi anni. Il suo modo di fare somiglia a quello di una famiglia tenuta in ostaggio da una banda di rapinatori psicopatici, che, temendo la loro reazione, al vicino di casa che suona alla porta per sapere se va tutto bene, risponde, col più bel sorriso del mondo, che sì, è tutto a posto, la giornata è bellissima e non si potrebbe desiderar di meglio dalla vita.
E mentre queste cose accadono, e sono ormai uno stillicidio continuo di piccoli e grandi atti di ostilità contro la Chiesa cattolica e contro la civiltà europea, che su quella civiltà si è sviluppata, fin da quando è nata, assistiamo ora a un altro fenomeno, ancor più sconcertante: a una serie di gesti, di documenti, di atteggiamenti, da parte della Gerarchia ecclesiastica e del sacro Magistero, che paiono sconfessare secoli di Tradizione e che introducono novità inaudite, tali da sconvolgere da cima a fondo il cattolicesimo, così come l’abbiamo sempre conosciuto, come ci era stato insegnato, come avevamo imparato ad amarlo, a praticarlo, a farne la bussola della nostra vita.
Una prima avvisaglia è venuta quando papa Francesco, al principio del suo pontificato, ha rilasciato quella famosa intervista a Eugenio Scalfari, nella quale, fra le altre cose, affermava che la cosa più importante, per gli esseri umani, è “seguire la propria coscienza”, e che chi lo fa è a posto con Dio, perché Dio questo ci chiede, in buona sostanza: sostituendo, con ciò, alla dottrina cattolica sul peccato e sulla grazia, una dottrina nuova, niente affatto cattolica, ispirata al più esplicito relativismo morale e religioso.
Da quel momento, è stato un crescendo di iniziative clamorose, di omelie sconcertanti, d’interviste sempre più provocatorie, nelle quali il papa, oltre a tempestare di rimproveri d’ogni genere le pecorelle del suo gregge, e a giustificare ogni difetto, ogni colpa e ogni violenza da parte dei membri delle altre religioni, o dei non credenti, ha anche ritenuto di lasciare praticamente soli gli organizzatori e i partecipanti al Family Day e, in generale, i genitori e le famiglie cattoliche che lottano per difendere l’idea della famiglia cristiana, contro le follie e le aberrazioni della cosiddetta ideologia gender e contro le leggi, approvate di recente, che parificano, di fatto, le unioni omosessuali al matrimonio fra uomo e donna.
Dunque: la parola d’ordine è: niente allarmismi ingiustificati! Niente esagerazioni, niente reazioni eccessive, niente grida d’allarme. Va tutto bene, è tutto sotto controllo. Ogni religione ha le sue teste calde, anche la nostra; ma gli imam con cui ha parlato papa Francesco, lo hanno assicurato che gli islamici vogliono solo la pace e il rispetto fra tutti gli esseri umani.
Del resto, è quello che essi dicono, da anni, nei salotti televisivi, ai quali si presentano con una ingessatura addirittura britannica, senza tradire alcuna agitazione, e facendo sfoggio di molta calma e sorrisi, di pacatezza, benevolenza, tolleranza e rispetto verso tutto e verso tutti. Già: peccato che, per un gesto come quello commesso dalle quattro donne islamiche nella chiesa di San Zuan, nella religione del Corano, a parti rovesciate, è prevista la pena di morte. Ne sa qualcosa quella disgraziata donna cristiana del Pakistan che fu condannata a morte perché, nella confusione del mercato, il Libro sacro le era caduto per terra: l’offesa recata ad Allah, benché involontaria, fu ritenuta dalla corte pakistana, nonché dall’opinione pubblica di quel Paese (la stessa opinione pubblica che chiede, anzi, pretende più moschee in Europa, invocando il pluralismo e la tolleranza) più che sufficiente a meritarle la sentenza capitale. Quale sarebbe la reazione degli islamici, ci domandiamo, se dei cristiani entrassero in una moschea, non diciamo nella rigidissima Arabia Saudita, ma anche in Italia o in Francia, si facessero il segno della Croce e cominciassero a recitare, ad alta voce, il Padre nostro, l’Ave Maria o il Gloria al Padre? Visto che pregare insieme è una cosa tanto bella, c’è qualcuno che pensa seriamente che fatti del genere sarebbero, più o meno, tollerati dagli islamici, e che non darebbero luogo a reazioni fortissime, anche di tipo violento?
Ma i nostri governi e gli stessi uomini della Chiesa cattolica si guardano bene dal chiedere la reciprocità: sarebbe una imperdonabile indelicatezza nei confronti dell’islam. In compenso, i cattolici buonisti e progressisti sono tutti al settimo cielo e piangono di gioia per aver accolto la richiesta degli islamici di entrare nelle chiese cattoliche a pregare il (loro) Dio durante la (nostra) santa Messa. Alcuni intellettuali, come lo storico Franco Cardini, hanno avuto parole d’incontenibile esultanza e di commozione, affermando che valeva la pena di vivere abbastanza a lungo da poter assistere, o partecipare, a una fase storica così meravigliosa, nella quale cristiani e musulmani uniscono le loro preghiere durante lo stesso rito religioso. Peccato che quel rito sia la Santa Messa e che, in questo modo, essa venga profanata da una liturgia inverosimile, se non del tutto apostatica, nella quale si relativizza la cosa più preziosa e più essenziale di tutta la nostra religione: il Sacrificio eucaristico di un certo Gesù Cristo, figlio di Dio, venuto sulla terra per riscattare i peccati degli uomini, e, al suo posto, si mette una generica “preghiera in comune”, che tanto comunitaria poi non è, visto che la lingua della religione islamica è l’arabo e visto che l’arabo, in Europa, lo conoscono ben pochi.
Intanto il popolo italiano, come del resto gli altri popoli europei, assiste in silenzio a questo stillicidio quotidiano, che non è neppure una invasione, perché nelle invasioni le due stirpi rimangono entrambe, ma una sostituzione di popolazione, perché esso è condannato a scomparire e ad essere sostituito dai nuovi arrivati. Intanto, c’è chi lo incoraggia a fare sempre meno figli, a praticare l’aborto come esercizio di libertà, ad amare e a sposare le persone dello stesso sesso: i milioni di bambini non nati grazie a queste “politiche”, sono ora rimpiazzati da milioni di bambini stranieri, che vengono in Italia o che nascono e nasceranno in Italia, e per i quali già s’invoca lo ius soli, cioè il diritto automatico alla cittadinanza italiana. E intanto sorge, nella mente delle persone che si sentono sole, abbandonate, scavalcate, la domanda inquietante: Chi ci sta tradendo, e perché?
Fonte: http://www.liberaopinione.net/wp/?p=12889