35 aziende al giorno… una catastrofe senza fine.
Nel secondo trimestre del 2017 sono state 3.190 le aziende che hanno portato i libri in tribunale (facendo così salire a 6.188 il numero nei primi sei mesi dell’anno). Una cifra che, dopo il picco raggiunto nel 2014 quando i fallimenti erano stati 15.336 (4.190 nel secondo trimestre), è calata costantemente anno su anno. Rispetto al 2016, infatti, le imprese fallite sono diminuite del 15,7%, del 17,8% se si fa il confronto con il 2015, e addirittura del 22,2% se si guarda alla situazione del 2014.
Resta il fatto però che questi numeri sono assolutamente abnormi e segnalano che la crisi economica in Italia sia tutt’altro che finita. 6.188 aziende fallite dal 1° di gennaio 2017 al 30 giugno 2017 stanno a significare che in Italia falliscono 35 aziende ogni giorno. Un numero drammatico.
A rivelarlo è l’Analisi dei Fallimenti in Italia di Cribis, società del Gruppo Crif, che ha indagato la situazione dei fallimenti delle imprese italiane nel corso del 2017. Complessivamente, nel periodo che va da aprile a giugno sono fallite mediamente poco più di un’impresa ogni ora. Malgrado la costante riduzione dei fallimenti sia un segnale incoraggiante di ripresa del tessuto imprenditoriale italiano, le difficoltà degli anni di crisi non sono quindi affatto alle spalle.
Il confronto con la situazione del 2009, quando gli effetti della crisi economica non erano ancora così violenti, è estremamente critico: rispetto a otto anni fa, quando i fallimenti nel secondo trimestre erano stati solo 2.393, le imprese fallite sono aumentate del 34,7%.
La distribuzione dei fallimenti sul territorio nazionale presenta notevoli differenze da regione a regione ed è correlata alla densità di imprese attive nelle diverse aree del paese. La Lombardia, con 1.300 imprese che hanno chiuso i battenti dal 1° gennaio 2017 e un’incidenza sul totale dei fallimenti in Italia del 21,4%, si conferma la regione con il maggior numero di aziende che hanno portato i libri in tribunale.
Le imprese lombarde detengono anche il primato di fallimenti dal 2009 a oggi, che ammontano a 23.542. Completano il triste podio il Lazio, con 786 aziende fallite nei primi sei mesi di quest’anno (11.647 dal 2009 a oggi) e un’incidenza sul totale dei fallimenti in Italia del 12,7%, e la Campania, che quest’anno ha registrato 539 fallimenti (8.854 dal 2009) che hanno inciso sul totale italiano per l’8,7%.
Nelle prime dieci posizioni della graduatoria si trovano anche il Veneto (con 511 fallimenti), la Toscana (482), l’Emilia Romagna (458), il Piemonte (381), la Sicilia (378), la Puglia (295) e le Marche (182).
L’indagine di Cribis ha analizzato anche l’incidenza dei fallimenti nei diversi settori merceologici. Il settore che ha sofferto di più nella prima metà del 2017 è il commercio, che ha visto ben 2.072 imprese chiudere i battenti. Sebbene il commercio detenga questo primato già da diversi anni, bisogna segnalare che il numero di fallimenti di imprese attive nel settore è in costante calo dal 2014 e che rispetto a dodici mesi fa è diminuito del 14,7%. Gli altri settori più in crisi sono i servizi, con 1.410 fallimenti, l’edilizia, con 1.253 casi, e l’industria, con 1.190 aziende chiuse, mentre tutti gli altri comparti nel loro complesso hanno registrato 263 imprese fallite.
Marco Preti, amministratore delegato di Cribis, ha dichiarato: “Dal 2009 ad oggi, la percentuale dei fallimenti è cresciuta del 34,7% e del 10,6% rispetto al 2010. Dati, questi ultimi, che evidenziano quanto per le imprese sia fondamentale individuare quali possono essere i migliori partner commerciali e quali invece le imprese non affidabili. Ci sono vari indicatori che ci possono servire per valutare lo stato di salute di un’azienda. Uno dei più importanti è la puntualità nei pagamenti, mentre rimane parallelamente strategico investire nella gestione del credito commerciale e raccogliere informazioni sui possibili clienti, che siano italiani o esteri, per evitare brutte sorprese”.
Queste notizie, quindi, contraddicono in modo netto le affermazioni del governo Gentiloni per il quale invece in Italia sarebbe in corso “la ripresa”.
Fonte: http://www.ilnord.it