Dagli all’untore… Ovvero, l’ultimo sogno americano

di Alberto Benzoni

Diciotto anni fa, la Sars. Oggi il Coronavirus. Meno contagioso? Più letale? Oppure più contagioso e meno letale? Possiamo fidarci delle cifre che ci danno?

Il seguito è affidato alla “fake news” e, più ancora alle “fake opinions”; scontate, tutte e due, e controllabili in tempi normali, devastanti di fronte al risorgere di incubi – quali le epidemie – che ritenevamo scomparse per sempre.

Sia come sia, una cosa è certa. Che, economicamente parlando, il Coronavirus sia infinitamente più letale della Sars. Allora la Cina era un “paese emergente”, e il suo peso nel sistema mondiale di produzione e di scambio tutto sommato marginale; al punto di potere essere ammessa senza problemi nell’Organizzazione mondiale del commercio. Oggi è, in tutti i sensi e in tutti i settori, al centro del processo di globalizzazione; al punto di ritenere che la semplice persistenza dell’epidemia avrebbe effetti – psicologicamente oltre che concretamente – distruttivi per l’ordine economico mondiale.

Tutto ciò spinge governi e istituzioni sanitarie di tutto il mondo nel senso della collaborazione e della corresponsabilità. Nella consapevolezza comune di essere arrivati a un punto decisivo: o nei prossimi giorni e nelle prossime settimane si blocca la pandemia; o, altrimenti… C’è però chi, in questi stessi giorni non dico rema, ma certamente tifa contro. E non parliamo di uno scienziato pazzo o di una nuova Spectre: ma degli Stati Uniti d’America.

In un articolo comparso sul “New York Times”, del 3 febbraio, l’illustre economista “liberal”, Paul Krugman contesta all’amministrazione Trump il suo eccessivo affidamento all'”economia del microbo”, leggi la sua palese speranza che la crisi determinata dal coronavirus ponga definitivamente fine alla pretesa cinese di sfidare gli Stati Uniti sul terreno del governo dell’economia mondiale. Se la prende, in particolare, con il segretario al commercio Ross, secondo il quale “non siamo ancora al vittorioso giro finale” ma “è legittimo sperare che la pandemia acceleri il ritorno dei posti di lavoro negli Stati uniti”. Krugman giudica queste affermazioni  “scervellate”, con una serie di argomentazioni economiche assolutamente fondate; ma che evadono la questione principale.

E la questione principale è che Trump e i suoi collaboratori considerano – e ahimè non solo in privato – lo scoppio dell’epidemia un dono del cielo e si augurano che questa duri il più a lungo possibile; o almeno, per tutto il tempo necessario per collocare definitivamente, tutto ciò che è cinese – dal governo fino all’ultimo studente, turista o gestore di ristorante all’estero – come potenziale propagatore del male.

Già da tempo, il “dagli all’untore” era all’ordine del giorno. La tecnologia, strumento di spionaggio e di eversione. Gli studenti cinesi in America, tutti potenziali spie. Gli Istituti Confucio, strumenti per il lavaggio del cervello. E così via. Oggi, il Coronavirus, consente di completare l’opera. Partendo dal governo. Per arrivare all’ultimo lavapiatti di ristorante.

Sul primo fronte, era circolata l’ipotesi che il Coronavirus non fosse partito da un comune pipistrello ma da un laboratorio di guerra batteriologica (a bocciarla sono state le autorità competenti americane; ma continua ad essere diffusa dai social). Tappa successiva, la ferma convinzione che il governo cinese sia doppiamente colpevole per la sua propagazione e, paradossalmente, per le misure adottate per bloccarla. Sarebbe, in sostanza, propria dei regimi totalitari la reazione tardiva e reticente di fronte ai disastri (ma, su questo, gli Stati Uniti hanno una coda di paglia lunga un chilometro; vedi i soccorsi a New Orleans dopo l’uragano Katrina; e vedi soprattutto, il ritardo criminale con cui sono state ritirati dal mercato prodotti farmaceutici antidolorifici che avevano causato la morte di centinaia di migliaia di persone). Come sarebbe anche proprio di questi stessi regimi, il ferreo regime di isolamento cui sono state sottoposte intere comunità.

Sull’altro fronte, l’operazione è tanto intellettualmente semplice quanto moralmente repellente, trattandosi semplicemente di estendere fino all’ultimo cinese, sia esso turista o residente all’estero, la linea o magari soltanto il clima del “dagli all’untore” già alimentato da tempo. Così da  arrivare a quella quarantena generale che assicuri, nel generale disastro, la definitiva supremazia dell’America di Trump.

Tutto si giocherà, comunque, nelle prossime settimane. Ed è, per fortuna, assai probabile che lo sforzo della collettività internazionale per arginare definitivamente la pandemia venga prima che questa colpisca e in modo grave i suoi stessi fondamenti.

Per concludere, una piccola nota aggiuntiva. Sempre a proposito di epidemie. Da tempo, l’Africa equatoriale nei suoi recessi profondi è percorsa da un altro virus e di gran lunga più contagioso e più mortale. Parliamo dell’Ebola, non ancora debellato, nonostante anni di sforzi. Un successo, ma non definitivo; come avrebbe potuto e dovuto essere. Ma della cosa non ci occupiamo e preoccupiamo più tanto. Lì a morire o a essere a rischio di morte sono gli africani. E l’Africa è lontana in tutti i sensi.

Articolo di Alberto Benzoni

Fonte: http://www.linterferenza.info/attpol/dagli-alluntore-ovvero-lultimo-sogno-americano/

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