di Andrea Caldart
Chi varca la soglia della cappella di San Pietro a Lucerna, la più antica chiesa della città, potrebbe trovarsi di fronte a un’esperienza spirituale inaspettata e, per certi versi… futuristica. Nel confessionale non c’è un prete, ma un ologramma alimentato dall’intelligenza artificiale, raffigurante nientemeno che Gesù Cristo in persona.
L’installazione, chiamata “Deus in Machina”, è frutto di una collaborazione tra la parrocchia di San Pietro e l’Immersive Realities Research Lab dell’Università HSLU di Lucerna.
Il progetto si propone di esplorare i limiti e le potenzialità della tecnologia nell’ambito della cura pastorale e del dialogo spirituale.
Accedendo al confessionale, i visitatori vengono accolti dall’ologramma con un rassicurante “La pace sia con te, fratello”, una frase standardizzata che non distingue tra uomini e donne. Da lì, l’AI invita a condividere “qualsiasi cosa stia turbando il tuo cuore oggi”.
L’esperienza, però, non è priva di ironia. Cosa succederebbe se qualcuno rispondesse: “Tu che sei un ologramma, tanto per cominciare”? Il sistema, capace di dialogare in oltre 100 lingue, si dice pronto ad affrontare anche domande provocatorie, stimolando riflessioni sulla natura dell’intelligenza artificiale, sul rapporto tra fede e tecnologia, e sull’autenticità dell’esperienza religiosa mediata da un software (???)…
È importante precisare che questa esperienza non costituisce un vero e proprio sacramento. Secondo Marco Schmid, teologo coinvolto nel progetto, la decisione di collocare l’ologramma in un confessionale aveva un obiettivo simbolico e pratico: creare un’atmosfera di raccoglimento e intimità.
Tuttavia, nessuna confessione fatta all’ologramma è riconosciuta dalla Chiesa Cattolica, poiché manca un elemento fondamentale: il sacerdote in carne e ossa.
L’installazione, ideata da Philipp Haslbauer e Aljosa Smolic dell’Hochschule Luzern, non è pensata per sostituire la figura del sacerdote, bensì per stimolare una riflessione critica.“Ci chiediamo quali siano i confini etici e pratici dell’uso dell’intelligenza artificiale in contesti spirituali”, hanno spiegato i ricercatori (ma a chi frega qualcosa di questo quesito idiota? Forse a chi vorrebbe creare una religione unica globale sotto l’egida dell’intelligenza artificiale… – nota di conoscenzealconfine.it)
Tra i quesiti sollevati dal progetto vi sono: fino a che punto la tecnologia può offrire conforto emotivo o supporto morale? E quali rischi corrono le esperienze religiose quando vengono mediate da sistemi artificiali?
L’iniziativa ha suscitato curiosità e qualche perplessità tra i visitatori. Alcuni apprezzano l’originalità del progetto e l’invito a riflettere sulla modernità, mentre altri vedono l’ologramma come un elemento che rischia di banalizzare l’esperienza spirituale.
Di certo, “Deus in Machina” offre uno spunto per riflettere su come la tecnologia stia ridefinendo anche gli ambiti più tradizionali della nostra vita, dal lavoro alla fede.
Per ora, però, resta una domanda: se il Gesù bot non è onnisciente, può davvero capire ciò che agita il cuore di chi si siede di fronte a lui?
Articolo di Andrea Caldart
Fonte: https://www.quotidianoweb.it/attualita/mondo/confessionale-2-0-gesu-il-figlio-di-un-bot/