di Luigi Orsino
Che ognuno di noi fosse schedato e controllato si sapeva…
Attraverso intercettazioni telefoniche, grazie a schedature sulle opinioni politiche, tendenze sessuali e credo religioso veniva tracciato un profilo di ogni cittadino italiano.
Inizialmente era come una sorta di archivio di elementi sensibili, persone cioè che i detentori del potere riteneva potessero essere un pericolo, o un ostacolo, all’esercizio dello stesso. Certo comportava un enorme lavoro di intelligence con migliaia di uomini impegnati a controllare, catalogare, creare dossier. Fonte primaria è stato per decenni l’archivio dei contribuenti gestito da quella che era la compagnia unica telefonica. Poi le nuove tecnologie hanno reso obsolete molte metodologie di schedatura generale della popolazione. Si è passato allora a sistemi molto più sofisticati, come il programma “Echelon” che intercetta tutte le telefonate fatte da ognuno di noi e le smista in appositi archivi, ove trovano posto anche tutti gli sms che continuamente ci scambiamo.
Ma tutto ciò non era ritenuto sufficiente ed è a questo punto che arriva l’idea tanto geniale quanto semplice: perché impegnare tante risorse per spiare in modo occulto, quando la gente non chiede di meglio che raccontare tutto di sé? Nasce così il più banale modo di schedatura possibile: usare i social, Facebook, Twitter, etc.
In pratica, siamo noi stessi a raccontare tutto di noi, ad aggiornare continuamente il nostro profilo, a postare le nostre idee politiche, la nostra vita sociale, tutte le nostre preferenze, le idiosincrasie, ciò che ci piace e ciò che detestiamo.
Coloro che sono deputati a controllarci non hanno che da tenere sotto controllo il nostro profilo social e sapranno tutto di noi e anche di più. Certo c’è chi mente un poco, o molto, ci sono i falsi profili, ma senza dubbio il grosso del lavoro è fatto. Se poi aggiungiamo le applicazioni dei cellulari di ultima generazione, chiamarli telefonini è assolutamente riduttivo, molte delle quali scarichiamo inconsapevolmente il quadro è completato. Attraverso gli smartphone, tutti dotati di gps, siamo noi stessi a comunicare in ogni momento dove ci troviamo, cosa pensiamo, chi frequentiamo e se siamo sufficientemente mansueti, cioè se siamo ben addomesticati oppure coviamo il bacillo della ribellione.
Il “grande fratello”, quello del romanzo di fantascienza di Orwell e non il ripugnate reality televisivo, non era arrivato a prevedere un tale risultato: non c’è bisogno di spiarci, siamo noi a mostrare e raccontare tutto.
Si può ancora parlare di privacy? Dal punto di vista degli spioni, sicuramente si considera il fatto che siamo noi stessi, per la maggior parte, a metterci in vetrina. Per il resto di questi tempi, con tanti terroristi in giro, non si può andare tanto per il sottile. Ne va della nostra stessa sicurezza… almeno così ce la vendono.
In realtà, abbiamo volontariamente rinunciato alla riservatezza scambiando per un gioco quella che è, invece, una cruda realtà: nessuno può più avvalersi del diritto di avere una vita privata.
Se mi consentite, riportiamo tutto nei limiti di ciò che dovrebbe essere: un gioco. Costringiamo, almeno, chi ci spia per schedarci a sudare un po’ per fare il loro lavoro sporco.
Articolo di Luigi Orsino
Fonte: http://fahrenheit912.blogspot.com/2017/05/chi-spia-chi_17.html