di Fabio Di Todaro
Sarà un altro boccone duro da digerire, per gli amanti della fiorentina. Suona un nuovo campanello d’allarme per la carne rossa.
Secondo uno studio statunitense pubblicato sul «British Medical Journal», consumi eccessivi risulterebbero collegati a un tasso di mortalità complessivamente più elevato, le cui cause andrebbero ricercate innanzitutto in nove condizioni: tumori, malattie cardiache e respiratorie, ictus, diabete, infezioni, demenza di Alzheimer, patologie renali ed epatiche croniche.
Le conclusioni non sono nuove, dopo quelle diffuse un anno e mezzo fa dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro e a seguire dall’Associazione Italiana di Epidemiologia. Ma vista l’ampia ricaduta sui consumatori, è lecito attendersi un fuoco di fila di repliche: con nutrizionisti e produttori pronti a prendere le difese delle carni italiane.
Lo studio in copertina sul «British Medical Journal»
L’ultima prova che pone in relazione l’eccessivo consumo di carni rosse e trasformate con l’aumento della mortalità, giunge dal National Cancer Institute di Bethesda. Gli epidemiologi – al cui lavoro il «British Medical Journal» ha dedicato la copertina dell’ultimo numero, riportata accanto – hanno passato in rassegna i dati già raccolti per una precedente indagine di popolazione, condotta osservando oltre cinquecentotrentamila adulti statunitensi (50-71 anni). Basandosi sui questionari alimentari da loro compilati, hanno stimato i consumi di carni rosse, bianche e trasformate: oltre che di singoli micronutrienti (ferro) e additivi (nitriti e nitrati). La proporzione, una volta messi in grafico i dati raccolti, è parsa evidente: al crescere dei consumi di carne rossa, aumentava il numero dei decessi. Una relazione lineare che il gruppo di scienziati statunitensi ha osservato suddividendo il campione di persone osservate in cinque fasce: a seconda del quantitativo di carne consumata settimanalmente.
Perché troppa carne rossa fa male?
La responsabilità, come emerso già nella revisione completata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nella seconda metà del 2015, sarebbe da ascrivere all’eccessivo introito di ferro eme (contenuto nella carne rossa), di nitriti e di nitrati (per quel che riguarda gli insaccati). Ma la mortalità oncologica potrebbe risultare accresciuta anche dallo sviluppo di composti carcinogeni nel corso della cottura: motivo per cui occorre perlomeno evitare le alte temperature che possono portare a bruciare la carne.
Rischio ridotto consumando carni bianche e pesce
Con tutti i limiti che si possono riconoscere alle indagini epidemiologiche, e considerando che i consumi negli Stati Uniti non sono paragonabili a quelli nostrani, il lavoro rappresenta «un’altra scomoda verità per la carne rossa», parafrasando il titolo dell’editoriale con cui la rivista ha voluto accompagnare la notizia. L’autrice, Fiona Godlee, non ha mancato di far notare come i tassi di mortalità siano risultati inferiori tra i consumatori abituali di carni bianche e pesce. Un’evoluzione che, a detta della giornalista, ha radici antropologiche. «I nostri avi mangiavano la carne al massimo una volta alla settimana, giungendo così a consumarne non più di dieci chili all’anno. Le diete moderne propongono invece consumi dieci volte superiori e le proteine animali sono arrivate a garantirci un quinto del fabbisogno energetico».
Ripercussioni anche per l’ambiente
L’aumento dei tassi di mortalità non è visto come l’unico parametro da misurare, visto che «elevati consumi di carne accelerano la maturazione sessuale e accentuano la resistenza agli antibiotici». A ciò occorre aggiungere le ripercussioni sul pianeta. Come reagire di fronte a un simile scenario? La riduzione dei consumi di carni rosse e trasformate è un passaggio che, per chi non l’ha già fatto suo, appare ormai inevitabile.
Articolo di Fabio Di Todaro
Fonte: http://www.lastampa.it