di Andrea Centini
Brian Hanley, un microbiologo americano, si è fatto iniettare circoletti di DNA estraneo in grado di stimolare la produzione del cosiddetto ormone della crescita.
Un microbiologo americano di sessant’anni, Brian Hanley, da un paio di anni convive con DNA estraneo al proprio; sta sperimentando su se stesso una peculiare terapia genica che, riportando i livelli dell’ormone GHRH (Ormone di rilascio della somatrotopina) a quelli giovanili, ha lo scopo di contrastare il processo di invecchiamento. In altre parole, starebbe testando l’efficacia di un vero e proprio ‘elisir di lunga vita’.
Lo scienziato, impegnato per anni nella lotta all’AIDS attraverso studi condotti all’Università della California, mentre si documentava ha scoperto che l’ormone GHRH (o somatorelina) si aggancia alle cellule con gli stessi identici recettori del virus dell’HIV. Ciò gli ha suggerito di realizzare una terapia contro l’AIDS basata proprio su questo ormone, che in altri studi aveva evidenziato anche benefici sul sistema immunitario.
Poiché la sua idea non fu accolta positivamente dalle case farmaceutiche, Hanley, che è fondatore dal 2009 della compagnia di genetica ‘Butterfly Sciences’, decise di virare le sue ricerche su una terapia contro l’invecchiamento; la funzione principale dell’ormone GHRH, infatti, è quella di promuovere il rilascio dell’ormone della crescita, i cui livelli diminuiscono drasticamente nel passaggio all’età adulta. La terapia ideata dal microbiologo si basa su un semplice concetto matematico: ripristinare i livelli di GHRH a quelli di quando si hanno trenta anni.
Per farlo, lo studioso ha creato in laboratorio un plasmide contenente un gene per l’ormone GHRH, una sorta di micro-vescicola con le informazioni genetiche necessarie per produrlo. Dopo aver fatto sviluppare altri plasmidi da un laboratorio, pagando circa 10 mila dollari, se li è fatti iniettare nella coscia attraverso una tecnica chiamata elettroporazione, in pratica una forte scossa elettrica – dolorosissima, stando alle dichiarazioni di Hanley – per innescare la rinnovata produzione dell’ormone.
Dopo la prima iniezione del 2015, se n’è fatta fare una seconda nel 2016 (con anestesia), dato che gli effetti dei plasmidi non sono eterni; la loro attività dura infatti al massimo alcuni mesi. Hanley spiega che oggi il suo battito cardiaco è diminuito, ha meno colesterolo cattivo, più globuli bianchi e inoltre sottolinea che le sue ferite sembrano guarire più in fretta. Poiché si tratta di un solo paziente e manca un vero e proprio studio, benché il suo caso sia stato analizzato dal prestigioso laboratorio George Church dell’Harvard Medical School, è ancora troppo presto per essere sicuri dei risultati. Per valutare l’insorgenza di potenziali effetti collaterali legati all’ormone della crescita, come tumori e disfunzioni dell’ipofisi, è inoltre necessario attendere del tempo ulteriore.
La terapia genica a base di plasmidi è stata adottata con successo nella sperimentazione animale, in particolar modo nel contrasto alle infezioni e all’insufficienza renale in bovini e suini, oltre che per combattere il cancro nei cani. Recentemente è stata adottata anche per sviluppare un vaccino contro il virus Zika. Poiché i livelli di rischio con gli animali sono sempre stati molto bassi e il nostro organismo ha un meccanismo di difesa che impedisce all’ormone della crescita di raggiungere livelli troppi elevati, Hanley si augura di essere sulla strada giusta, ma mancano ancora troppi dati per poter parlare di elisir di lunga vita.
Articolo di Andrea Centini
Fonte: http://scienze.fanpage.it/