Il concetto, mutuato probabilmente da Spinoza e da alcuni saggi di Emerson, come Potenza, viene menzionato per la prima volta da Nietzsche in così parlò Zarathustra, per poi essere ripreso, almeno a margine, in quasi tutte le sue opere successive.
Esso riecheggia inoltre la centralità della volontà nella filosofia di Schopenhauer, dove era intesa come volontà di vivere che si afferma al di là e al di sopra di ogni rappresentazione, nei singoli viventi, e che andava convertita in noluntas, o non-volontà, mediante una sorta di percorso ascetico ispirato allo spiritualismo orientale. Tuttavia la volontà di vivere di Schopenhauer era un'essenza trascendente come la cosa in sé di Kant, mentre la volontà di potenza è un principio del tutto immanente.
La volontà di potenza è per Nietzsche la volontà che vuole se stessa, è cioè una volontà impersonale intesa come perpetuo rinnovamento dei propri valori; questa concezione sposa perfettamente il prospettivismo nietzschiano (da non confondersi con il relativismo), secondo cui l'Uomo deve continuamente aggiornare il suo punto di vista e mai fissarsi su una presunta verità definitiva.
La volontà di potenza non si afferma dunque come desiderio concreto di uno o più oggetti specifici, ma come pulsione infinita di rinnovamento. È evidente in tal senso il nesso profondo che lega il tema della volontà di potenza con quello dell'oltreuomo e dell'eterno ritorno: è caratteristico dell'oltreuomo, infatti, poter assumere su di sé con leggerezza tutto il peso di questa volontà creatrice, accettando e affermando l'inesorabile ripetizione dell'attimo creativo, che soggiace alla teoria dell'eterno ritorno.
Presentiamo tradotta, per la prima volta in italiano, l'opera che Nietzsche vagheggiò per anni come esposizione organica e compiuta della sua dottrina, e che lasciò soltanto abbozzata in una quantità di note dal 1882 al sopraggiungere della malattia.
La presente traduzione è condotta sull'ultima recente edizione che è la prima in cui l'opera si presenta con unità e compiutezza di libro, essendosi lo studioso che l'ha curata preoccupato di ordinare il materiale secondo il piano fissato da Nietzsche stesso in una nota del marzo 1887, e di trascegliere nel caos delle note quanto si coordina in esposizione unitaria della dottrina fondamentale di Nietzsche.
Doveva essere, fin da quando scriveva il “Zaratustra” e segnava le prime note, il capolavoro in prosa, l'opera complessiva e fondamentale: “qualcosa di immenso e portentoso”. Doveva essere l'esposizione della sua visione del mondo intorno a quella che ne era divenuta l'idea centrale: la volontà di potenza.
Doveva essere l'opera d'arte — da cui non si può pensare scompagnato il pensiero di Nietzsche: anche qui la più vagheggiata: “come introduzione: la cupa solitudine della campagna romana. La pazienza nell'incertezza. La mia opera deve contenere un giudizio complessivo sul nostro secolo, su tutta la modernità, sulla raggiunta “civiltà”.
Ogni libro come una conquista, tasto — tempo lento — fino alla fine drammaticamente succinto, infine catastrofe e improvvisa liberazione”.
Fu l'opera dal destino più doloroso. Mutila, caotica, subì profanazione in una prima superficiale edizione piena di errori del 1901. Per i più fedeli cultori del pensiero di Nietzsche, per la sorella stessa di lui, l'edizione di “La volontà di potenza” rimase un problema pieno di difficoltà.
Dal 1906 il manoscritto è tutto fedelmente pubblicato con tutti gli inconvenienti del disordine, delle ripetizioni, dei fuor d'opera. Con questa edizione è raggiunto, con fedeltà nella scelta, nell'ordine e nell'interpretazione filosofica, anche il massimo accostamento alle esigenze dei lettori: quanto di meglio, date le tragiche vicende del lavoro, si è potuto fare per conservare l'essenza.
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