Addio obsolescenza programmata, arriva la pila eterna

Quest’anno al Jotto Fair di Pisa, un evento dedicato all’imprenditoria del campo delle apparecchiature elettroniche e dei sistemi tecnologici, un ricercatore italiano ha presentato la “pila eterna”.

Brevettato nel 2014 a sue spese, Gianni Lisini ha creato un sistema in grado di immagazzinare e rilasciare energia milioni di volte, contro le poche centinaia delle tradizionali batterie.

La genialità del ricercatore dello Iuss di Pavi, è stato di riuscire a mettere in comunicazione due sistemi esistenti, creando un accumulatore ibrido composto da un accumulatore chimico e un condensatore di ultima generazione, in grado di immagazzinare fino a 5000 Farad (unità di misura della capacità elettrica).

Poter effettuare per milioni di volte il ciclo di carico/scarico di energia, allunga notevolmente il ciclo di vita di questo accumulatore, si stima una durata che varia dai 15 ai 20 anni, facilmente estensibili apportando alcune modifiche.

La pila sarà inizialmente usata a livello industriale, ma potrebbe trovare applicazione ad esempio anche per le biciclette elettriche. Potenzialmente si potrebbe quindi applicare alla rete di trasporti urbani, alle auto elettriche, alle bici con pedalata assistita. Una nota da non dimenticare è la minor spesa di smaltimento, dato che la pila non contiene metalli pesanti, per cui non richiede particolari accorgimenti quando il prodotto sarà esausto.

Volta creò il primo accumulatore di energia nel 1799. Ci sono voluti più di duecento anni, ma grazie a Lisini potremmo non dover più ricaricare né sostituire le batterie delle nostre apparecchiature, annientando l’obsolescenza programmata che ci rende marionette nell’era del consumismo.

Fonte: http://www.dolcevitaonline.it/addio-obsolescenza-programmata-arriva-la-pila-eterna/

LA DECRESCITA PRIMA DELLA DECRESCITA
Precursori e compagni di strada
di Serge Latouche

La Decrescita Prima della Decrescita

Precursori e compagni di strada

di Serge Latouche

Gli sbandieratori del produttivismo e dello sviluppismo – anche nella versione contrabbandata per "verde" o sostenibile – vorrebbero accreditare un'immagine settaria e marginale degli obiettori di crescita: un manipolo di utopisti tardomoderni con l'ossessione recessiva di far cambiare rotta alla civiltà.

Ma la logica trionfante del "cresci o muori" non può certo invocare maggior realismo, proprio quando si profila lo schianto del pianeta sotto il peso ecologicamente e socialmente funesto di iperproduzione, iperconsumo e iperscarto.

Quell'insensatezza che oggi è diventata sinonimo di catastrofe viene da lontano, come chi in ogni tempo ne ha denunciato le storture che già si annunciavano mortifere. Si tratta di filosofi, poeti, economisti, romanzieri, politici, teologi, di cui Serge Latouche fa qui l'appello in quanto precursori, pionieri e compagni di strada. Tutt'altro che gracile, l'albero genealogico della decrescita vanta il fior fiore del pensiero critico e della sapienza di diversi continenti, configurando una storia delle idee alternativa.

In felice promiscuità vi prendono posto cinici, epicurei e buddhisti zen, decrescenti di città e decrescenti di campagna, mistici e anarchici naturisti, oppositori dell'industrialismo agli albori e antiglobalisti attuali. Tra loro, anche qualche "infrequentabile" o inclassificabile.

Da Diogene a Tagore a Orwell, da Fourier a Gandhi a Berlinguer, da Pound a Baudrillard a Terzani, si compone una schiera multiforme a cui Latouche ascrive a buon diritto la propria prospettiva di un'"abbondanza frugale, o prosperità senza crescita, in una società solidale". Con gli obiettori di crescita, Latouche parteggia per la "sobria ebbrezza della vita" invocata da Illich, e continua a metterci in guardia dall'abisso.

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