di Paola Magni
Ci sono alimenti, che più di altri, meritano di essere acquistati bio, perché nella loro versione “convenzionale” sono a rischio pesticidi o hanno un impatto ambientale alto.
1 Mele. Da alcuni anni le mele si piazzano tristemente in cima alla classifica degli alimenti più trattati con pesticidi e con più residui chimici sulla buccia. Ne sono stati rilevati fino a 40 diversi; gli antiparassitari sono stati riscontrati anche nel succo di mela non biologico. Uno studio svizzero pubblicato negli atti del 25° International Horticultural Congress, ha riscontrato nelle mele bio un maggior contenuto di potassio (+31%) e di fenoli (+19%, perlopiù flavonoidi). In tutti i campioni, inoltre, la polpa era più salda e saporita.
2 Cereali integrali. Sulla parte esterna del chicco si concentrano i residui di pesticidi e di sostanze nocive che possono rimanere sui cereali coltivati e conservati con metodologie convenzionali, ovvero con sostanze chimiche. Ecco perché è sempre consigliabile sceglierli da agricoltura biologica. Lo studio in laboratorio condotto dall’Inran, dal titolo: “Valutazione di possibili rischi connessi alla presenza di eventuali contaminazioni in produzioni convenzionali e biologiche, attraverso degli indicatori precoci e sensibili”, ha rilevato che le farine biologiche non contengono molecole in grado di danneggiare la risposta immunitaria, contrariamente alle farine provenienti dalle pratiche convenzionali.
3 Uova. Gli antiparassitari utilizzati nei mangimi degli allevamenti industriali possono passare, anche se in minima parte, nelle uova, così come i medicinali somministrati ai polli per evitare il contagio di malattie tra gli animali ammassati nelle gabbie. Il metodo biologico mette al riparo il consumatore da queste possibilità: le galline degli allevamenti bio vivono a terra, possono razzolare liberamente, hanno uno spazio adeguato per muoversi, non sono imbottite di antibiotici e i loro mangimi sono sani e privi di ogm. I diritti degli animali, il diritto al rispetto dei loro bisogni vitali e degli spazi, sono un dovere per l’allevatore bio. Infine, il tuorlo dell’uovo bio non è colorato artificialmente.
4 Arance e limoni. Lo studio del’Inran, “Arance di produzione biologica e convenzionale: indagine sul contenuto in carotenoidi e folati”, ha rilevato che luteina e zeaxantina (che hanno attività antiossidante) presentano valori più alti nella produzione biologica. Le arance bio, inoltre, contengono molta più vitamina C di quelle che non lo sono, fino al 30 per cento in più. Lo rivela un rapporto divulgato al Great Lakes Regional meeting dell’American Chemical Society. Nonostante le arance bio siano mediamente più piccole di quelle convenzionali, spiegano i ricercatori, contengono comunque molta più vitamina C. L’ipotesi è “che i coltivatori usino fertilizzanti azotati che causano una maggiore assimilazione di acqua, che potrebbe ‘diluire’ i contenuti vitaminici del frutto”. In cucina, le arance ma soprattutto i limoni vengono spesso utilizzati con la buccia. Se bio, non presentano rischio di contaminazione da pesticidi.
5 Uva. Le analisi dicono che su scala mondiale il livello di contaminazione da pesticidi sull’uva, si attesti intorno al 70 per cento, con una trentina di prodotti chimici diversi. Scegliere uva biologica non serve solo a dribblare la chimica da un frutto che, tra l’altro, non si sbuccia: una ricerca pubblicata dal “British Journal of Cancer”, spiega che il resveratrolo – sostanza anticancro che si trova naturalmente nel vino rosso e negli acini d’uva, prodotto dalle viti come autodifesa – è un fungicida naturale. I ricercatori hanno scoperto che il resveratrolo si trova in più alte concentrazioni nelle piante non trattate con fungicidi artificali e pesticidi. Cioè in quelle provenienti dall’agricoltura organica.
6 Soia e suoi derivati (tofu, farina, tamari, fibra, lecitina, estratto, concentrato, olio, fagioli). Potrebbero essere tutte fonti di ogm in quanto derivati dalla principale coltura geneticamente modificata a livello globale, la soia (il 70 per cento della soia coltivata nel mondo è ogm). E’ l’ingrediente transgenico che è più facile trovarsi nel piatto. In uno studio pilota statunitense, il pesticida glifosato, il cui utilizzo è abbinato a quello della soia ogm, è stato riscontrato in alte concentrazioni nel latte materno e nelle urine delle persone che mangiano cibi transgenici, dimostrando che l’erbicida si accumula nel corpo umano. Il biologico vieta l’utilizzo di organismi geneticamente modificati in tutta la filiera, dal campo al punto vendita.
7 Caffè. Secondo uno studio condotto dagli esperti dell’Università del Texas, la coltivazione di caffè sta minacciando l’ambiente perché, a differenza di come si faceva in passato quando il caffè cresceva solo nelle zone ombrose, le moderne aziende agricole coltivano in pieno sole. Dal 1996 ad oggi il numero di aziende che ha scelto di coltivare il caffè all’ombra, è sceso del 20 per cento. L’esposizione delle piante al sole serve a incrementare i raccolti, ma per praticarla gli agricoltori disboscano i terreni, per sfruttare meglio la luce. L’abbattimento degli alberi ha provocato un calo della presenza di pipistrelli e di altri predatori naturali di insetti, il che ha portato all’aumento dell’impiego di pesticidi sulle coltivazioni per debellare gli attacchi dei parassiti. Commercio equo e solidale e biologico generalmente prediligono le coltivazioni in zone ombrose, a minor impatto ambientale.
8 Pesche. Sono tra i frutti più trattati con i pesticidi e che presentano più residui sulla buccia. Studi condotti dall’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, hanno messo in evidenza differenze significative tra frutti biologici e convenzionali. Nei primi “è stato riscontrato un contenuto più alto in polifenoli totali, in composti dotati di attività antiossidante, in alcuni carotenoidi ed una più alta attività della polifenolossidasi”. Lo studio dell’Inran “Ricerca di indicatori di qualità in pesche e pere” ha rilevato che il contenuto in polifenoli totali e l’attività enzimatica “sono risultati superiori in tutti i campioni dell’agricoltura biologica, rispetto ai campioni di controllo convenzionali”. Infine, sempre secondo l’Inran, “tutte le pesche coltivate con metodiche biologiche presentano valori di polifenoli totali più elevati, rispetto a quelle coltivate con le metodiche convenzionali”.
9 Latte e latticini. Uno studio rilanciato dal New York Times afferma che “il latte biologico diminuisce senza dubbio il fattore di rischio per le malattie cardiovascolari”. I ricercatori del Washington State University’s Center for Sustaining Agriculture and Natural Resources, hanno analizzato 384 campioni di latte intero bio e convenzionale, prodotto nella stessa zona per ben diciotto mesi. Ne è risultato che il primo contiene il 62 per cento in più di acidi grassi omega 3 amici del cuore e il 25 per cento in meno di omega 6. La quantità delle due tipologie di grassi e il rapporto tra loro è vantaggioso per la salute: si attesta infatti su 2,28, valore molto vicino a quello considerato ideale dai nutrizionisti (2,3), mentre quello del latte convenzionale è di 5,77. Insomma, chi ama bere lette, lo scelga bio. Lo studio, in gran parte finanziato dalla più grande associazione di produttori del biologico americana, è stato divulgato come prova che gli standard di allevamento bio, con le mucche che pascolano all’aperto finché la stagione lo consente, tenute in condizioni poco affollate, alimentate con foraggi privi di pesticidi e ogm, cresciuti senza farmaci e con sistemi di gestione del letame che evitano la contaminazione del suolo, dell’acqua e delle colture, “premiano” i consumatori con un profilo di grassi più sano per il cuore. Il latte bio non può contenere metaboliti di farmaci, ormoni, contaminanti chimici né tracce di pesticidi.
Fonte: http://www.lifegate.it