di Alessandra Profilio
Hikikomori è il termine giapponese che viene utilizzato per indicare l’isolamento sociale volontario di adolescenti e giovani adulti, un disagio che oggi ha assunto proporzioni gigantesche.
Adolescenti e giovani in fuga dal mondo, isolati e rinchiusi nelle loro camere, anche per anni. Quello che inizialmente era considerato un disagio sociale limitato al Giappone, si sta rivelando un fenomeno esteso a tutti i Paesi sviluppati, Italia compresa. Ma quali sono le cause di questo fenomeno? Ne abbiamo parlato con Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia.
“Isolarsi”, “stare in disparte”. È questo il significato letterale del termine “Hikikomori”, utilizzato per riferirsi ad adolescenti e giovani che decidono di ritirarsi per lunghi periodi dalla vita sociale, rinchiudendosi nella propria camera, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno. In Giappone questo fenomeno ha assunto proporzioni gigantesche, ma sono diversi i casi riscontrati in tantissimi paesi sviluppati del mondo.
Chi riguarda questo fenomeno?
Riguarda soprattutto maschi tra i 15 e i 29 anni, ma ci sono hikikomori di tutte le età (anche con più di 50 anni, soprattutto in Giappone dove il fenomeno è esploso ormai da tempo). Anche le donne sembrano essere più di quelle che si credeva in origine. Inizialmente, infatti, si riteneva fossero solamente il 10%, ma osservando la distribuzione di genere nella chat di Hikikomori Italia, posso ipotizzare che siano molte di più (intorno al 30%). Spesso gli hikikomori sono primogeniti o figli unici di famiglie benestanti, ma i dati raccolti in Italia sono ancora troppo pochi per giungere a conclusioni definitive.
Come nasce?
Il fenomeno nasce in concomitanza con l’arricchimento e lo sviluppo frenetico delle moderne società capitalistiche, dove la competizione e la “necessità di apparire” portano a un crescente livello di pressione sociale, tale per cui alcuni ragazzi non riescono a tenere il passo.
Gli hikikomori sono quasi sempre ragazzi svegli e intelligenti, ma anche molto introversi, sensibili e fragili caratterialmente. Decidono consciamente o inconsciamente di non fare più parte di questa “corsa” alla realizzazione sociale. Semplicemente se ne tirano fuori.
È un fenomeno che riguarda prevalentemente il Giappone? Se sì, perché?
Il fenomeno in Giappone ha assunto proporzioni gigantesche, che finora sembrano non avere eguali in altre nazioni del mondo. Gli ultimi dati ufficiali pubblicati dal Governo giapponese parlano di 541 mila casi accertati, ma sono state escluse dal sondaggio alcune fasce di popolazione, per cui si tratta di una stima a ribasso. Le cause vanno ricercate nella cultura giapponese, ovvero nei ruoli genitoriali, nella competizione scolastica e lavorativa, ma anche nella logica collettivistica tipica dei paesi orientali.
Ci sono alcuni soggetti maggiormente a rischio?
Oltre all’identikit di massima tracciato nella seconda domanda, ci sono due periodi della vita nei quali il rischio di diventare un hikikomori è maggiore:
– nei primi anni di scuole medie o superiori, quando ci si confronta con i pari in modo più adulto e quindi possono emergere fragilità relazionali;
– al termine delle scuole superiori, al momento di iniziare un percorso universitario o lavorativo. Questo perché il diploma viene spesso vissuto come un qualcosa di obbligatorio, che bisogna raggiungere a tutti i costi. Dopodiché, invece, è necessario intraprendere una strada per la quale si è intrinsecamente motivati. Nel caso di un hikikomori questa motivazione può venire meno.
Quali sono i segnali che possono indicare ai genitori che il figlio/la figlia si trova in questo stato?
Il rifiuto di andare a scuola è uno dei primi campanelli d’allarme dell’hikikomori. Quando un ragazzo comincia ad accumulare un numero di assenze superiore all’ordinario, allora è importante indagarne subito le cause. Spesso dietro al rifiuto scolastico vi è una difficoltà a relazionarsi con i compagni di classe oppure l’aver subito atti di bullismo.
Un altro segnale da cogliere, è quando il ragazzo comincia a rifiutare gli inviti dei coetanei, preferendo passare molte ore al pc. In questo senso è fondamentale approfondire quella che è la vita virtuale del giovane, ovvero se utilizza internet in modo “sociale” oppure se lo utilizza per attività solitarie.
Cosa possono fare le famiglie e la società per prevenirlo?
Interessarsi molto di più alla vita virtuale del figlio. Oggi il modo di vivere è cambiato. È normale passere molte ore a contatto con le nuove tecnologie, senza che ciò costituisca necessariamente un comportamento patologico. L’unico modo per prevenire l’hikikomori è intervenire prima che l’isolamento si sia cronicizzato. La solitudine genera inevitabilmente altra solitudine in una spirale che, più diventa profonda, e più sarà difficile uscirne.
Come “si guarisce”?
L’hikikomori non è una malattia, quindi non si può parlare di “guarigione” in senso medico. L’hikikomori è un impulso all’isolamento che può essere contrastato e per farlo bisogna, innanzitutto, comprenderne le motivazioni sottostanti. È fondamentale che il ragazzo trovi una figura terza che lo aiuti nell’introspezione delle cause che lo hanno portato alla scelta dell’isolamento. Deve essere lui a decidere di uscire dall’auto-reclusione, nessuno può farlo al suo posto. Non si può costringere, non ci sono scorciatoie. Dev’essere una scelta consapevole e ponderata. L’importante è che il ragazzo abbia dei coetanei con i quali confrontarsi e mantenga delle attività sociali “sane”, che siano fonte di piacere e che siano vissute come spontanee.
Che cos’è “Hikikomori Italia”?
“Hikikomori Italia” è la prima community italiana sul fenomeno degli Hikikomori (isolamento sociale volontario). Nasce nel 2013 con l’obiettivo di colmare un gap informativo esistente in Italia e ambisce a diventare un punto di riferimento a livello nazionale. Attualmente la community mette a disposizione diversi strumenti gratuiti per i suoi membri, come ad esempio una chat dedicata ai ragazzi hikikomori, un gruppo Facebook pensato per i genitori che vogliono condividere la propria esperienza e offrire sostegno reciproco, un Forum dove poter raccontare la propria storia di reclusione senza filtri. Infine, anche una pagina Facebook per tutti coloro che vogliono rimanere aggiornati sull’argomento.
Sul vostro sito si legge: “L’hikikomori è un meccanismo di difesa messo in atto come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale tipiche delle moderne società individualistiche”. È questa quindi la causa principale? Ce ne sono altre?
Questa, a mio parere, è la causa che, a livello sociale, meglio spiega il fenomeno nel suo complesso, senza banalizzarlo o personalizzarlo. Gli hikikomori sono tutti diversi, possono dare motivazioni differenti per la loro scelta di reclusione, ma tutti sono accumunati da questo impulso all’isolamento, questa profonda difficoltà nello stare con gli altri. Questa paura di esporsi e di confrontarsi con il prossimo.
Che tipo di pressioni esercita sugli adolescenti la nostra società?
La società sta diventando progressivamente sempre più competitiva, soprattutto da un punto di vista di realizzazione sociale. Tali pressioni implicano tutto ciò che ha a che fare con l’identità sociale di un individuo, ovvero con l’aspetto esteriore, con il rendimento scolastico e lavorativo, con la vita che comunichiamo attraverso i social, con il nostro modo di relazionarci e con le nostre abilità espressive.
È come se fossimo costantemente in competizione con gli altri e a volte ci troviamo a rincorrere obiettivi che non desideriamo realmente, ma che fanno parte delle aspettative sociali. Ovvero ci comportiamo in relazione a quello che pensiamo che gli altri si aspettino da noi.
Eppure, non tutti hanno la forza, le capacità e la motivazione per tenere il passo di una tale corsa frenetica al successo. Credo che questo sia proprio il caso degli hikikomori. Loro scappano da questa competizione perché la pressione di realizzazione è diventata insostenibile. Semplicemente se ne tirano fuori, la rifiutano, e il modo più “semplice” che hanno trovano è quello di isolarsi.
Queste pressioni sono maggiormente forti in Giappone? E in Italia?
Il Giappone è la società competitiva per eccellenza. Basti pensare che il sistema scolastico giapponese viene chiamato “l’inferno degli esami”. I genitori sono costretti a mandare i figli in scuole private, poiché sono le uniche che garantiscono l’accesso alle migliori università del paese. In questo modo spendono moltissimi soldi, generando maggiore pressione sul rendimento del ragazzo. Esistono anche delle scuole intensive chiamate ‘Juku’ dove si arriva a studiare fino a 12 ore al giorno, in preparazione ai test di ammissione universitari. Molti hikikomori iniziano il proprio stato di isolamento proprio in concomitanza con questi esami. Soprattutto in caso di fallimento, la delusione e la vergogna di aver tradito le aspettative dei propri genitori può essere talmente forte da generare un comportamento auto-distruttivo.
La situazione in Italia, per fortuna, non è così drastica, tuttavia, è possibile che si creino delle dinamiche simili. Nel nostro paese l’hikikomori sembra essere legato soprattutto a eventi di bullismo o comunque a situazioni vissute dai ragazzi come tali. La difficoltà di relazionarsi efficacemente con i coetanei, e quindi di essere giudicati positivamente da loro, rappresenta uno di quegli obiettivi di realizzazione sociale descritti precedentemente che, se fallito, può portare alla scelta dell’isolamento.
Che ruolo ricopre in questo la scuola?
La scuola sotto questo aspetto gioca un ruolo fondamentale, perché ha il compito di garantire a tutti gli studenti, anche a quelli più fragili caratterialmente, un ambiente sano e inclusivo. Non a caso, il primo campanello d’allarme dell’hikikomori è proprio l’abbandono scolastico. Le istituzioni hanno il dovere di attrezzarsi per fare fronte a questa emergenza sociale, intervenendo con misure efficaci e fuori dall’ordinario.
Con “fuori dall’ordinario” intendo che bisogna avere flessibilità per rispondere alle esigenze di questi ragazzi isolati. Aiutarli in ogni modo possibile a completare l’anno e a reintegrarli gradualmente nell’ambiente scolastico. Purtroppo questa flessibilità quasi sempre viene meno, in quanto l’hikikomori a oggi non ha nessun riconoscimento legale e quindi i genitori si scontrano spesso con la burocrazia, vedendosi negato qualsiasi tipo di percorso scolastico alternativo (come, ad esempio, il BES.) che permetterebbe al figlio di proseguire gli studi nonostante l’isolamento.
Completare gli studi e ottenere il diploma è fondamentale per evitare che gli hikikomori sentano di aver perso troppo terreno rispetto ai coetanei e quindi abbiamo maggiori motivazioni nel continuare a perseguire una “carriera sociale”.
Pensi che in questo senso le cose stiano migliorando o no? Mi spiego meglio, credi che negli ultimi tempi venga lasciata maggiore libertà nelle scelte di vita o veniamo sempre chiamati a conformarci ad un modello?
Io credo che le cose stiano peggiorando. Con l’avvento dei Social Network la “competizione sociale” è diventata estenuante, tant’è che sono numerosi gli studi che dimostrano come l’utilizzo di Facebook sia legato a un aumento della depressione.
Internet favorisce quello che in psicologia viene definito “confronto sociale”, ovvero il paragonare la propria vita a quella degli altri. È evidente che sui Social ognuno sia più motivato a mostrare il lato migliore della propria vita: i momenti felici, le amicizie, ecc. Per questo motivo, quando guardiamo le attività dei nostri amici, ci sentiamo spesso in difetto e in dovere di esibirci a nostra volta.
Anche la popolarità è cambiata. Oggi i modelli dei giovani non sono più necessariamente cantanti, attori o sportivi, ma possono essere anche gli youtuber, le beauty blogger e tutte le altre figure che nascono dal web. Ragazzi e ragazze “normali”, che non hanno quell’alone divino che hanno i vip e con cui è più facile identificarsi e quindi, di conseguenza, attivare un paragone tra noi e loro.
Insomma, viviamo in una società nella quale gli strumenti che permettono di misurare e confrontare gli aspetti di bellezza e di realizzazione personale, non hanno eguali nella storia dell’umanità. Tutto ciò contribuisce e fa da sfondo al fenomeno degli hikikomori.
Hikikomori e dipendenza da Internet. Qual è il legame?
L’abuso di internet è una conseguenza dell’hikikomori e non una causa. I media purtroppo tendono spesso a confondere i due fenomeni, ma fortunatamente anche da questo punto di vista le cose stanno lentamente cambiando. Le ultime ricerche dimostrano come l’utilizzo di internet da parte degli hikikomori, sia un qualcosa di positivo, se pensiamo, in contrasto, a un ragazzo che invece non comunica con la società nemmeno attraverso il web.
È altrettanto vero, però, che una reclusione prolungata possa talvolta favorire lo sviluppo di una dipendenza dalle nuove tecnologie. Anche in questo caso, però, si dovrebbe comunque mirare a comprendere le cause che hanno spinto il ragazzo ad isolarsi, perché trattare l’hikikomori come fosse semplicemente un dipendente da internet, sarebbe come trattare il sintomo e non la “malattia”.
Rivisto da Conoscenzealconfine.itFonte: http://www.italiachecambia.org/2017/05/hikikomori-adolescenti-spirale-isolamento/