di Stelio Fergola
Le nazioni esistono. Non sono una “creazione” come tanti, troppi studiosi anche di sponda accademica hanno dichiarato negli ultimi decenni. Decontestualizzando. Cercando il singolo dato senza preoccuparsi di tutto il resto. Il pelo nell’uovo.
Le nazioni non sono il pretesto, come qualcuno pure ha sostenuto, del sistema capitalistico per organizzare quel mercato che, dal XIX secolo in poi, sarebbe cresciuto a dismisura. Non si crea un progetto nazionale sulla base del nulla, ma “ci si costituisce nazione sulla base di qualcosa”, perché contrariamente a come si potrebbe pensare “non abbiamo scelto di essere italiani, lo siamo e basta” osserva giustamente Dario Citati nel suo intervento.
Insieme a lui, al convegno: La rivincita delle identità, organizzato a Roma, ci sono altri studiosi, altri storici, altri filosofi. Parlano di globalizzazione e di come questa abbia distrutto tutti i Paesi occidentali. Accademici che probabilmente sono stanchi. Stanchi di un processo a comunità, spesso anche etniche, che ormai dura da decenni. Stanchi della fastidiosa retorica del multi-culturalismo, dell’ “incontro tra le culture” che è irrealizzabile nei termini della fusione, oltre che essere profondamente innaturale, forzato e ingiusto verso l’essenza di ciascuna di esse.
La rivincita delle identità: una rivalsa che, per carità, è appena introdotta e ben lontana dal realizzarsi in qualsiasi Paese del sistema occidentale, con buona pace degli anti-italiani che continuano a credere alle favole di una presunta esclusività del nostro Paese nella fattispecie.
Come spiega bene Daniele Scalea insieme ad Alessandro Campi e Diego Fusaro, ospiti del convegno: “la nazione è un ostacolo per coloro che governano realmente il mondo”. È un ostacolo per lo strapotere americano, un muro fastidioso contro l’unificazione dei mercati, contro la colonizzazione culturale, contro l’abbassamento del costo del lavoro che tanto piace ai grandi capitani d’impresa.
Spiritualismo e materialismo si fondono nell’eterno “conflitto” tra Hegel e Marx, più propriamente in quello più moderno tra Marx e Gentile. Lo scopo è comune: bisogna ridare voce a un’entità volgarmente attaccata da decenni, nelle sue fondamenta, sia da improvvisati studiosi che da stimati accademici, nonostante di elementi per sostenere la posizione anti-nazionale non ce ne siano poi tanti.
“La strategia è sempre la stessa: spingere le masse ad accettare l’ordine mondiale imposto” ricorda proprio Diego Fusaro. Che aggiunge: “Quest’ordine è quello degli Stati Uniti d’America, che dominano l’umanità attraverso la demonizzazione di ogni Stato non allineato al suo sistema. Il fatto che anche Assad, dopo Saddam, Milosevic e altri sia stato paragonato a Hitler, la dice lunga”.
Ma ci sono cose che non possono essere messe da parte, nonostante l’imposizione ormai acclarata, che coinvolge non solo gli pseudointellettuali che la veicolano, ma anche personalità di rilievo completamente soggiogate al sistema. “Come diceva il mio maestro Costanzo Preve, questa è un’epoca in cui gli intellettuali sono più stupidi delle masse”, dichiara Fusaro. Difficile dargli torto. Beninteso che illudersi di una comprensione intima da parte del popolo delle dinamiche, dello spirito e delle necessità della nazione, sia pura utopia. Per quello ci vuole uno Stato che insegni, come ricordava Giovanni Gentile.
Oggi lo Stato non c’è, è succube dei potentati economici e della società aperta che impone un nuovo cittadino senza identità, cultura, apolide ma utile a essere sfruttato nel lavoro e a produrre consumo a seconda delle necessità. L’intervento di Alessandro Campi è forse quello più emozionante. Perché tocca il tasto giusto, quello della coercizione culturale: “Per decenni ci hanno convinto di essere parte di comunità artificiali, ma ci sono patrimoni plurisecolari che non moriranno tanto facilmente soltanto perché qualcuno ha deciso di eliminarli”. Forse, come dice Citati, la rivalsa è appena agli inizi. Ce lo auguriamo vivamente.
Articolo di Stelio Fergola
Fonte: http://www.oltrelalinea.news/2017/04/14/centro-machiavelli-la-nazione-non-e-unentita-artificiale/