La storia che racconteremo si è svolta il 14 luglio 2007, quando Abuna Nirwan era andato a far visita alla sua famiglia in Iraq. Abuna Nirwan è un sacerdote francescano originario dell’Iraq, che prima dell’ordinazione ha studiato Medicina.
Destinato alla Terra Santa, nel 2004 si è visto concedere dalle Suore Domenicane del Rosario, fondate da Santa Marie Alphonsine Danil Ghattas (palestinese, canonizzata nel 2015), una reliquia della loro fondatrice e un rosario da lei utilizzato, che padre Nirwan porta sempre con sé.
Quando nel 2009 Benedetto XVI ha approvato il miracolo per la beatificazione della religiosa, è stato richiesto dalla Santa Sede che si procedesse alla riesumazione del suo cadavere. In genere il compito spetta al vescovo locale, che designa un medico presente. È stato allora chiesto a Abuna Nirwan di eseguire la riesumazione e di elaborarne un rapporto medico. Due anni prima aveva avuto luogo un fatto davvero straordinario, riferito dal sacerdote Santiago Quemada nel suo blog Un sacerdote en Tierra Santa.
La storia che racconteremo si è svolta il 14 luglio 2007, quando Abuna Nirwan era andato a far visita alla sua famiglia in Iraq. Era andato con un taxi contrattato alla frontiera siriana. Lo ha raccontato egli stesso nell’omelia di una Messa che ha celebrato a Bet Yalla:
“In quel momento non c’era la possibilità di andare in aereo a trovare la mia famiglia. Era proibito. Il mezzo di trasporto era l’automobile. L’idea era arrivare a Baghdad e da lì andare a Mosul, dove vivevano i miei genitori.
L’autista aveva paura per la situazione che si viveva in Iraq. Una famiglia – padre, madre e una bambina di due anni – ci ha chiesto se poteva viaggiare con noi. Il tassista mi ha detto che glielo avevano chiesto e io non ho sollevato obiezioni. Erano musulmani. L’autista era cristiano. Ho detto loro che nella macchina c’era posto e che potevano venire con noi. Ci siamo fermati a un distributore, e un altro giovane, musulmano, ci ha chiesto di venire a Mosul. Visto che c’era posto è stato accolto anche lui.
La frontiera tra Giordania e Iraq non si apre fino all’alba. Quando è spuntato il sole si è alzata la barriera, e circa cinquanta o sessanta automobili hanno avanzato lentamente una dietro l’altra.
Abbiamo proseguito il viaggio. Dopo più di un’ora siamo arrivati in un posto in cui c’era un’ispezione. Abbiamo preparato i passaporti. Ci siamo fermati. L’autista ha detto: “Ho paura di quel gruppo”. Prima era un check point militare, ma i membri di un’organizzazione terroristica islamica avevano ucciso i militari e avevano preso il controllo del luogo.
Quando siamo arrivati ci hanno chiesto i passaporti e non ci hanno fatto scendere dalla macchina. Hanno portato i passaporti nell’ufficio. La persona è tornata, si è rivolta a me e mi ha detto: “Padre, andiamo avanti con le indagini. Potete andare in ufficio”. “Molto bene”, ho risposto, “se dobbiamo andare andremo”. Abbiamo camminato per un quarto d’ora fino ad arrivare alla baracca che ci avevano indicato.
Quando siamo arrivati lì sono usciti due uomini a volto coperto. Uno aveva una telecamera in una mano e un coltello nell’altra. L’altro aveva la barba e teneva in mano il Corano. Si sono avvicinati al punto in cui ci trovavamo e uno di loro mi ha chiesto: “Padre, da dove viene?” Ho detto che venivo dalla Giordania. Poi lo ha chiesto all’autista. Poi si è rivolto al ragazzo che viaggiava con noi, l’ha afferrato da dietro con le braccia e lo ha ucciso con il coltello. Mi hanno legato le mani. Poi mi hanno detto: “Padre, stiamo registrando tutto questo per Al Jazeera. Vuole dire qualcosa? Per favore, non più di un minuto”. Io ho detto: “No, voglio solo pregare”. Mi hanno lasciato un minuto per pregare.
Poi l’uomo mi ha spinto fino a farmi cadere in ginocchio e ha detto: “Sei un sacerdote, ed è proibito che il tuo sangue cada a terra perché sarebbe un sacrilegio”. Allora è andato a prendere un secchio ed è tornato per sgozzarmi. Non ricordo quali preghiere ho recitato in quel momento. Avevo molta paura, e ho detto a Marie Alphonsine: “Non dev’essere un caso che ti porti con me. Se è necessario che il Signore mi porti via sono pronto, ma se non è così ti chiedo che non muoia nessun altro”.
L’uomo mi ha afferrato la testa con la mano, mi ha tenuto con forza la spalla e ha alzato il coltello. Dopo qualche momento di silenzio ha detto: “Chi sei?” Io ho risposto: “Un frate”. E lui: “E perché non riesco ad abbassare il coltello? Chi sei?” Poi, senza lasciarmi il tempo di rispondere, ha detto: “Padre, tu e tutti gli altri tornate alla macchina”. Siamo andati verso il veicolo.
Da quel momento ho smesso di avere paura di morire. So che un giorno morirò, ma ora ho più chiaro che sarà solo quando Dio vorrà. Da allora non ho paura di niente e di nessuno. Quello che mi accadrà sarà per volontà di Dio, ed Egli mi darà la forza per prendere la sua Croce. Ciò che conta è avere fede. Dio si prende cura di chi crede in Lui.
Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti
Fonte: https://it.aleteia.org/2017/05/12/jihadista-non-riuscire-uccidere-frate-francescano/