di Franco Grilli
Parla l’ammiraglio in congedo Oreste Tombolini, che il 21 marzo 1978, faceva parte del commando che avrebbe dovuto liberare Aldo Moro, rapito cinque giorni prima. Ma l’operazione fu annullata. Di questo episodio parlò anche Cossiga.
Trentanove anni fa un commando di terroristi delle Brigate rosse sequestrò l’onorevole Aldo Moro, leader della Democrazia cristiana. Fu il punto più alto della “strategia della tensione” e degli “anni di piombo”. Dopo 55 interminabili giorni, il corpo senza vita di Moro fu fatto ritrovare nel bagagliaio di un’auto nel centro di Roma, in via Caetani, a metà strada tra la sede della Dc e quella del Pci.
Dopo cinque giorni dal rapimento, il 21 marzo, scattò un piano segreto per liberare lo statista. Nome in codice “operazione Smeraldo”. Il Raggruppamento subacquei e incursori della Marina militare (Comsubin), di stanza a La Spezia, ricevette l’ordine da Palazzo Chigi: “Alfa, attuare interno Smeraldo”. Dopo appena 40 minuti le forze speciali erano pronte a partire, imbarcandosi sugli elicotteri della base di Luni (Liguria). Poche ore dopo, però, il blitz fu annullato. Per quale motivo? Si scoprì che Moro non era prigioniero vicino a Roma, come i servizi segreti avevano segnalato.
Di questo episodio Francesco Cossiga parlò nel 1991, e fu anche segnalato dal senatore Sergio Flamigni, nel libro “La tela del ragno” (1998). Oggi l’ammiraglio in congedo Oreste Tombolini, che avrebbe dovuto partecipare all’operazione Smeraldo, ne ha parlato per la prima volta con la stampa.
“L’ordine arrivò da Roma – dice in un’intervista al quotidiano ‘Avvenire’ – ci parlavamo su una rete protetta”. E racconta delle ricerche: “Siamo andati da tante parti. Anche nella zona di Roma, più di una volta. Potevamo andare in un casolare, un bosco, un fiume, un posto qualunque. E ce lo dicevano solo alla fine che era un’esercitazione”.
“Le operazioni di ricerca, frenetiche, venivano condotte con uomini di tutti i corpi: vedevamo i carabinieri, ma anche la polizia. C’erano anche uomini in borghese ma non sapevo chi fossero. I carabinieri erano lì pronti, ma per fare cosa non si sa”.
Tombolini ammette che lui, come tutti, era convinto di poter liberare Moro: “Se fossimo riusciti a entrare in azione qualcosa avremmo potuto fare. Anche se sapevamo trattarsi di una missione ad alto rischio. L’ omicidio di Moro è andato di traverso a tutti, specialmente a noi che forse avremmo potuto cambiare il corso della storia. Il rimpianto c’è“.
Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/cinque-giorni-rapimento-scatt-loperazione-liberare-moro-poi-1375938.html