di Dante Barontini
Che Benjamin Netanyahu o Yoav Gallant – colpiti da mandato di cattura internazionale per decisione della Corte Penale Internazionale – possano essere effettivamente arrestati è un solo un wishful thinking; uno di quei pensieri che rendono il mondo presente per qualche minuto meno insopportabile.
In concreto non avverrà, anche se il trattato istitutivo della Corte – firmato a Roma nel 1996 ed entrato in vigore nel 2002 – obbliga gli Stati aderenti a comportarsi di conseguenza.
A “Bibi” e al suo ex ministro della difesa – quello che aveva affermato “stiamo combattendo contro animali umani e ci comporteremo di conseguenza” – basterà non andare in uno dei 120 paesi che l’hanno ratificato (all’appello mancano Usa, Cina, Russia e la stessa Israele – che pure l’aveva inizialmente firmato – più una serie di paesi minori).
Di certo non potrebbero venire in Europa, anche se non riusciamo a vedere uno dei pallidi servi dell’impero Usa provare a mettere le manette ai macellai della popolazione di Gaza (il fascistoide Orbàn già lo ha invitato a fargli visita…).
La decisione della Corte, comunque, è a suo modo storica. E’ infatti la prima volta che figure di vertice di un paese occidentale – Israele è dichiaratamente la longa manus degli Stati Uniti in Medio Oriente – vengono inseriti nella lista dei “ricercati” per crimini di guerra (in attesa del giudizio pendente per l’accusa di genocidio presso la Corte di Giustizia, sempre a L’Aja).
Subito i “camerieri” e i complici dei genocidi sono scattati a difesa del loro “collega”. Del resto, dopo 13 mesi di bombardamenti e massacri, dopo 75 anni di occupazione e massacri, stanno difendendo anche o soprattutto sé stessi.
Abbiamo visto obiezioni abiette secondo cui “non si possono mettere sullo stesso piano i leader di uno stato democratico e i terroristi di Hamas“ (sono stati emessi mandati di cattura anche per Haniye e Sinwar, nel frattempo uccisi, oltre che per Deif, della cui sorte non si sa ufficialmente nulla). Come se un reato del genere (crimini di guerra) non potesse “per princìpio” essere contestato a degli occidentali (le “democrazie” sono altra cosa, e di molti tipi).
Altrettanto ridicoli gli arzigogoli para-giuridici, come “la Corte non ha giurisdizione su Israele perché Tel Aviv non aderisce al trattato istitutivo“. Ci vuole un attimo a verificare che invece può benissimo processare e condannare cittadini di uno “Stato non parte” del trattato, se questi hanno aggredito uno “Stato parte“. E la Palestina aderisce e riconosce la Corte Penale.
Sofismi e menzogne a parte, la portata storica della decisione rompe forse definitivamente la “narrazione” e l’ideologia che copriva larga parte del cosiddetto “diritto internazionale”. Se, infatti, “la legge non è uguale per tutti” non esiste né la legge né i tribunali.
Va infatti ricordato che tutta questa architettura legale ha preso definitivamente corpo dopo la “caduta del Muro”, negli anni ’90, quando l’Occidente neoliberista – e quindi soprattutto gli Stati Uniti – era rimasto l’unico “sceriffo in città”, in grado di decidere chi e cosa era “fuorilegge”, la sentenza e la punizione.
Non a caso, fin qui la Corte aveva messo in Stato d’accusa solo leader di paesi africani (Congo, Repubblica Centrafricana, Uganda, Darfur-Sudan, Kenya, Libia, Costa d’Avorio, Mali, Burundi), o di “nemici dell’Occidente”, come in Georgia, e infine Vladimir Putin.
Un “braccio legale” che aveva servizievolmente accompagnato gli assalti dell’imperialismo, chiudendo gli occhi, il naso e la bocca davanti ai suoi orrori. Tant’è che diversi paesi africani avevano più volte contestato il suo operato, così evidentemente a doppio standard.
Questi mandati di cattura contro i genocidi israeliani, invece, sembrano affermare il princìpio base di ogni legislazione seria: “La legge è uguale per tutti”. E un crimine di guerra è un crimine di guerra, chiunque lo commetta.
Ma ora ogni re e ogni diritto resta nudo. La reazione occidentale dimostra al resto del mondo che certi “reati universali” – crimini di guerra e genocidio in testa – valgono solo se servono ad accusare i propri nemici. Ma non possono essere mai imputati a uno dei componenti della “comunità internazionale occidentale”.
Proprio come pretendono i sionisti quando teorizzano che l’unico genocidio della storia è quello che hanno subito gli ebrei, e dunque Israele – che però non rappresenta affatto “tutti gli ebrei”, ma solo la loro frazione colonialista – non può essere accusato di un simile crimine.
Sappiamo bene che è molto più probabile che finiscano in galera i giudici della Corte Penale de L’Aja che non “Bibi” e Gallant. Trump già promette sanzioni contro di loro dopo il suo insediamento. Mentre il Mossad probabilmente è già sulle loro tracce (contro il procuratore, il britannico Karim Khan, erano già partite accuse di “molestie sessuali”, secondo lo schema usato per tenere per anni in galera Julian Assange)…
Siamo in tempi di guerra e “la legge” dipende dal suo esito. Anche per processare i nazisti come autori del “male assoluto”, in fondo, fu necessario prima batterli sul campo.
È tempo che Israele e l’imperialismo, insomma il suprematismo occidentale, finiscano effettivamente sul banco degli imputati e quindi fuori dalla Storia.
Ma i tribunali arriveranno ad avere potere effettivo solo dopo…
Articolo di Dante Barontini
Fonte: https://contropiano.org/editoriale/2024/11/22/il-tribunale-della-storia-aspetta-netanyahu-0177815