“Per crescere si ha bisogno sia della pioggia che del sole…” (P.Pradervand)
Ecco una breve storiella istruttiva: “C’era una volta in un lontano paese, un padre sconsolato che teneva fra le braccia la figlia più piccola. Da vari giorni la bambina non mangiava e il padre temeva per la sua vita.
Non pioveva da mesi e i maghi non prevedevano alcuna nube per molti mesi ancora. Il padre che nella lingua del suo paese si chiamava “Uomo Retto”, chiamò a raccolta tutti gli uomini validi e ricordò loro che al centro del villaggio c’era un albero immenso il quale per tutto l’anno produceva frutti in abbondanza.
Nessuno coglieva questi frutti, perché sin dall’alba dei tempi si sapeva che uno dei rami centrali dell’albero dava buoni frutti, mentre l’altro ramo dava frutti velenosi che portavano alla morte. Purtroppo, nel corso dei secoli quale fosse il lato buono era stato dimenticato.
“Uomo Retto” disse agli altri uomini del villaggio: “Mia figlia sta morendo ed io non riesco ad accettarlo. Salirò dunque sull’albero e mangerò un frutto. Se son sul lato buono, vivrò e farò vivere tutto il villaggio, il quale placherà così la fame con i frutti di cui l’albero si copre ogni notte. Se sono sul lato cattivo, morirò e voi saprete di dover cogliere i frutti dell’altro lato. Promettetemi che salverete mia figlia, che la nutrirete.
Così fu deciso. “Uomo Retto” salì sull’albero, colse un frutto, lo mangiò e… visse! Da quel momento, il villaggio prosperò. Alcuni mesi dopo tornò la pioggia e i campi rifiorirono. Tutto sembrava andare per il meglio. Ma una notte di luna piena i giovani del villaggio si radunarono. Parlarono del grande albero lamentandosi del fatto che producesse due tipi di frutto. Non riuscivano ad accettare che rimanesse anche il ramo che dava frutti cattivi e così decisero di tagliarlo. Fieri della loro azione, andarono a dormire.
L’indomani, quale non fu lo spavento dei paesani: l’intero albero era morto e i frutti buoni erano disseminati a terra assieme a quelli cattivi. La straordinaria risorsa del villaggio non esisteva più! Fu una terribile perdita. Gli anziani del villaggio, tutti rattristati, dicevano: “I giovani non hanno capito che non esiste bene senza male, pace senza guerra, verità senza menzogna e felicità senza sofferenza. La vita è fatta così e la saggezza più profonda consiste nell’accettare ciò che è.”
Fin dal tempi più remoti, gli esseri umani conoscono la sofferenza. Talvolta è stata così intensa da indurli a desiderare la morte. In altri momenti le circostanze esterne erano più favorevoli, ciò nonostante la sofferenza era sempre presente. E anche se non era più provocata da circostanze legate alla sopravvivenza, nasceva dall’insensato desiderio di essere qualcun altro o di possedere qualcosa di diverso da ciò che si aveva.
Le grandi religioni hanno tentato di trovare e di dare risposte a questi innumerevoli insoddisfatti, spesso riuscendoci. Che si trattasse del distacco, dell’accettazione del proprio karma, del paradiso che ci ripaga di quanto non abbiamo avuto quaggiù, il messaggio dominante era: la vostra sofferenza è soltanto temporanea, qualcosa di meglio vi attende. Oggigiorno ritroviamo questa ideologia religiosa anche in tutti i fanatismi.
I grandi sistemi politici hanno poi trasmesso la loro visione delle cose: “lavorate sodo, un roseo futuro vi attende e i vostri figli ne beneficeranno” o un’altra variante: “Diventate i migliori, diventate vincenti: volere è potere!”. Vi ha poi aderito anche la medicina moderna: “Se vi sentirete tristi e privi di senso, abbiamo la soluzione per voi. Una molecola chimica vi aiuterà, vi sentirete in piena forma e potrete andare per la vostra strada senza porvi troppe domande”. In certi momenti ricevere un trattamento medico può essere assolutamente appropriato e addirittura necessario. Il pericolo risiede nell’illusione che sia possibile curare la sofferenza così come cureremmo un’infezione, utilizzando l’antibiotico giusto.
Uscire dalla sofferenza significa innanzitutto accettarla, accettare ciò che è! Dalla nascita alla morte, la vita non ci porta per forza di cose sempre quello che desideriamo. Dobbiamo dunque modificare la vita? Non sta forse a ciascuno di noi accettare quello che è per evolvere? Accettare ciò che è, non è qualcosa di definitivo, non significa “essere fatalisti”.
Accettare ciò che è, è l’unico modo per poter cambiare la situazione, per poterla modificare. Quando una persona, un gruppo, una popolazione diventano capaci di accettare che “quanto è accaduto è accaduto”, la rabbia cessa, la ribellione si placa e la creatività può nuovamente entrare in azione per scoprire nuovi percorsi, strategie e soluzioni…
Fonte: https://ri-trovarsi.com/2016/09/
La soluzione quindi è accettare cio che è per cambiare cio che è. Io non credo si tratti di accettare la realtà punto. Si tratta di permettere sempre cio che e’, e cambiare cio che è, ed evolvere in una consapevolezza piu grande cio che è; questa secondo me la via della gioia……….. Una consapevolezza piu grande per noi stessi, per tutto, per tutti………… Se siamo creatori dobbiamo creare realtà, quindi cambiarla ed evolverla………… Ma questo penso, avviene pienamente e al massimo delle sue potenzialità, accettando e permettendo se stessi e tutto e tutti………… Purtroppo vedo su di me il “non permettere”, i sentimenti negativi che si oppongono, sono io in questi sentimenti……… Ho imparato a permetterli, fluire in essi interiormente, prenderne coscienza e focalizzare una sorta di cambiamento di essi in armonia universale; è stato un lungo percorso………. Ma mi sembra di aver raggiunto un atteggiamento senza tempo per cui tutte le mie enrgie positive o negative, alterate rispetto l’armonia universale o allineate all’armonia universale, si stanno trasformando in un nuovo me stesso universale che è gia accaduto nei miei novi sentimenti e verso cui mi sto dispiegando…………… Il tempo è un illusione ma per rendersene conto veramente serve un nuovo atteggiamento senza tempo, serve divenire negli atteggiamenti l’essere spirituale senza tempo che siamo………….
Proviamo a lanciare un sasso che apre molte porte, un pensiero oltre la realtà dell’esperienza e conoscenza terrestre.
Si può andarsene definitivamente dal corpo per risorgere in un altro corpo molto piu evoluto del precedente, gia adulto e formato nella piena energia vitale, in meno di pochi istanti di tempo terrestre da quando si registra il decesso nel primo corpo?
Secondo la conoscenza terrestre no. Noi viviamo di karma e riproduzione, le nostre vite sembrano essere una dietro l’altra cosi. Secondo la scienza no, sono pensieri assurdi e illogici. Non esiste nessuna esperienza conosciuta sulla terra che lo confermi. Morire per rinascere dalla morte immediatamente, in un corpo infinitamente piu evoluto e gia adulto, in piena consapevolezza e coscienza di tutto il proprio esistito e vissuto, piu evoluti e piu coscienti di prima con infinite possibilita esperienziali in piu e immediatamente fruibili………. Bhè sembra proprio una cavolata cosmica, un pensiero assurdo……………
Bene dopo questa mia invettiva a cui ognuno darà la sua risposta dirò solo questo: per me un bel pensiero sullo spirito è: “lo spirito è tutto cio che non siamo e che tuttavia siamo e possiamo divenire”…………….
Un caro saluto.
Pierluigi Scabini