Jose Ángel Flores e Silmer Dionicio George colpiti a morte nel distretto di Bajo Aguán, dove guidavano la lotta dei piccoli agricoltori locali contro un progetto di agrobusiness. Come Berta Caceres e tutti gli altri.
È successo ancora in Honduras. Altri due leader di un movimento per la difesa dei diritti dei campesinos sulle proprie terre, sono stati uccisi, verosimilmente da milizie paramilitari. È successo ancora proprio nel Paese considerato il più a rischio al mondo per chi si batte in difesa dell’ambiente e dei piccoli agricoltori: in Honduras sono infatti oltre 150 gli attivisti uccisi dal 2009 per questo tipo di ragioni. E il nome più noto è quello di Berta Caceres, la leader indigena che era stata ricevuta dal Papa in occasione del primo incontro in vaticano con i Movimenti popolari nel 2014.
A cadere vittime della violenza stavolta sono stati José Angel Flores e Silver Dinicio George, leader del Movimiento Campesino Unificado del Aguán, che da anni si batte contro un grande progetto agricolo per la produzione di olio di palma che andrebbe a spogliare dei loro diritti i piccoli agricoltori locali. Entrambi erano stati minacciati, uno dei due l’anno scorso era stato anche vittima di un tentativo di omicidio, fallito solo perché l’arma si era inceppata. Eppure questo precedente non è bastato a proteggerli; il che da l’idea di quanto forte sia il grado di impunità di cui godono oggi in Honduras i gruppi paramilitari al servizio dei poteri forti.
L’Honduras è il caso più eclatante di quelli che abbiamo chiamato i «martiri della Laudato Sì», attivisti che vengono uccisi proprio per la difesa di quegli stessi valori che papa Francesco ha posto al centro della sua enciclica.