di Nicola Mattei
I “Pentastellati” prima di vendersi al PD: “Il Mes va smantellato”…
M5S e Mes, storia di un grande amore. Di quelli che non sembrano mai sbocciare e poi, prendendo a prestito Venditti, fanno dei giri immensi e alla fine ritornano. Anche se il punto di arrivo è sensibilmente lontano dai nastri di partenza. E se questo stesso punto è quello di “caduta”, ultima espressione usata per cercare di far trucco e parrucco ad un voto che tradisce totalmente le linee programmatiche.
Mes: il M5S parlava di “Smantellamento”
La “caduta” potrebbe invero anche essere quella della maschera. Non una novità dopo la giravolta con la quale i pentastellati sono passati dagli attacchi all’arma bianca contro il Pd a governarci insieme. Volevano aprire il parlamento come una scatoletta di tonno (forse non sanno che l’intera attività parlamentare è disponibile in rete: basta un minimo di competenza nel navigare un sito), si sono ridotti a fare da stampella. O da cugino scemo, se preferite.
Anche sul Mes, i M5S replicano così la trama della giravolta a 180 gradi. Solo così si spiega l’ennesima inversione a “U”. Condita da un profluvio di artifici retorici destinati a far la fine di una scritta sulla sabbia. Se è vero che verba volant ma scripta manent, vediamo allora cosa dicevano, non più tardi di tre anni fa, proprio sul Meccanismo Europeo di Stabilità.
L’occasione è quella di una votazione in rete sul programma esteri del Movimento. Dieci i temi sottoposti agli iscritti, chiamati ad esprimere tre priorità. Su quasi 70mila preferenze espresse, quasi un decimo sono andate alla voce “Smantellamento della Troika”. Concetto abbastanza chiaro di per sé, ma ancora più specifico nella spiegazione: “Il M5S si opporrà in ogni modo a tutti quei ricatti dei mercati e della finanza internazionale travestiti da ‘riforme’. In particolare, si impegnerà allo smantellamento del MES”.
Di Maio: “Mi rifiuto di firmare l’Accordo”
Certo, si dirà, i programmi lasciano sempre un po’ il tempo che trovano. La declinazione politica è poi un altro discorso. Anche qui, però, i pentastellati hanno sempre mostrato (almeno all’apparenza) di essere pronti alle barricate.
Prendiamo ad esempio la “Risoluzione Molinari – D’Uva”. Parliamo del documento con il quale il parlamento assegnava al premier un preciso mandato nella trattativa in corso sulla riforma del Mes. Impegnando l’esecutivo “a non approvare modifiche che prevedano condizionalità che finiscano per penalizzare quegli Stati membri che più hanno bisogno di riforme strutturali e di investimenti”. Conte agì poi di testa sua, innescando una delle tante fratture che porteranno, di lì a poco, alla fine dell’esecutivo gialloverde.
Cambia lo spartito (l’alleanza), non uno dei suonatori. I grillini rimangono in sella e strappano pure Luidi Di Maio al ministero degli Esteri. È proprio in questa veste che l’allora capo politico (lo stesso del “Mai con il partito di Bibbiano”) teneva a precisare la propria posizione: “Sapete chi dovrà firmare il Mes? Il ministro degli Esteri. O delegare qualcuno, come ministro degli Esteri. Il ministro degli Esteri sono io e vi posso assicurare che ieri non è stata votata nessuna autorizzazione, né a firmare il Mes, né a chiudere l’accordo sul Mes, perché altrimenti io mi sarei rifiutato, con tutto il Movimento 5 Stelle, di votare quella risoluzione e quell’atto”.
Articolo di Nicola Mattei